Temple Of The Dog: una bella storia di Grunge

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Questa è una di quelle storie che più le racconti, più piacciono; Di quelle che nella mia generazione è conosciuta a memoria (mi perdonerà quindi chi legge cose note), almeno da quelli che ascoltano buona musica, per gli altri direi che è giunto il momento di conoscerla: questa è la storia dei Temple of the dog, e in qualche modo, è la storia del grunge

Siamo a Seattle all’inizio degli anni 90, quando ancora pensando alla città non venivano in mente dottoresse ninfomani e ospedali sfigatissimi in cui è più facile crepare che in mezzo ad una epidemia di peste medievale. Seattle all’epoca era solamente la patria del grunge, che già da qualche anno fermentava proprio partendo dal North-west, anche se perché divenisse movimento planetario e arrivasse in Italia sarebbe servito ancora qualche anno. All’inizio le band si conoscevano tutte, suonavano negli stessi locali, spesso erano la derivazione di scioglimenti di altri gruppi dai quali nascevano incroci di persone e di sonorità che spaziavano dall’ hard rock al punk rock fino all‘heavy methal…insomma un panorama estremamente fluido, fatto di musicisti spesso amici fra loro (panorama descritto nello sfondo di in un film del 1992:Singles – L’amore è un gioco, ambientato proprio in quella Seattle a a cui hanno partecipato con cameo molti musicisti dell’ambiente grunge) .

Una di queste band erano i Mother Love Bon: nati dallo scioglimento di uno dei gruppi capostipite del Grunge, i Green River, nel 1990 i Mother Love Born erano una delle band di riferimento del panorama alternative locale. Il 19 marzo 1990 però, Andrew Wood, cantante del gruppo, senza troppa fantasia, va detto, muore per overdose.

Roommate e grande amico di Wood era Chris Cornell, cantante dei Soundgarden, una delle poche band locali ad aver già firmato un contratto con una major. Chris inizia a scrivere alcune canzoni in memoria dell’amico, una in particolare, say hello to even, che non vuole però cantare con i suoi Soundgarden. Decide quindi di chiamare Stone Grossard e Jeff Ament, membri degli ormai ex Mother Love Bon per metter su un gruppo appositamente per registrare qui pezzi.

Al gruppo si aggiungono anche Matt Cameron , batterista di Cornell nei Soundgarden e Mike McCready, chitarrista con cui Grossard, dopo la fine dei Mother Love, stava costituendo un nuovo progetto.

Il gruppo sarebbe pronto, ma c’è ancora spazio per un elemento: come detto McCready e Grossard stavano lavorando per metter su una nuova band nella quale coinvolsero anche Jeff Ament. Insieme avevano iniziato a scrivere pezzi e cercare un cantante. Danno quindi una cassetta con alcune demo a Jack Irons, ex batterista dei Red Hot Chili Peppers, che la invia ad un cantante conosciuto tempo prima in California. Questi, sentiti i demo strumentali inizia a scrivere testi e raggiunge Seattle, in tempo per unirsi al progetto di Cornell & Co. Ovviamente quel cantante è Eddie Vedder.

I sei iniziano a registrare e quello che ne esce è un album meraviglioso, trainato da singoli come Say Hello To Heaven, emozionante saluto all’amico scomparso, e Hunger Strike, unico pezzo dell’album in cui Eddie Vedder, duetta alla pari con Chris Cornell dando vita ad uno dei brani più belli in assoluto, uno di quelli che sarebbe stato bello vedere live almeno una volta nella vita, per poter assistere alla magia creata quando gli acuti di Cornell fanno da controcanto ai toni caldi e bassi di Eddie Vedder.

L’album vende, e diventa uno di quelli essenziali per gli amanti del genere, ma questo aspetto diventa secondario rispetto altri effetti sulla storia del Rock: I Temple Of The Dog infatti rimangono un progetto tributo e dopo l’uscita dell’album omonimo si sciolgono. Cornell e Cameron proseguono la loro carriera coi Soundgarden, e scusate se è poco…

Gli altri continuano a suonare insieme con il nome di Pearl Jam; di li a poco faranno uscire il primo album, Ten, uno dei più bei lavori d’esordio mai usciti e decisamente album fondamentale della storia del grunge e del Rock tutto, diventando loro stessi una delle band più influenti di tutti i tempi.

Ripensare a quanti incroci, quanti episodi sono stati necessari per giungere alla storia del rock che conosciamo, a volte tristi come la morte di Wood, spesso puramente casuali, rende ancora più evidente la perfezione del tutto.

Peccato solamente che il reunion tour avvenuto lo scorso anno, non abbia sfiorato i palchi italiani, sarebbe stato un biglietto imperdibile…ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

METALLICA: Hardwired to self-destruct

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L’album dei Metallica si compra! non importa quante delusioni siano arrivate dopo il Black Album (e per molto a partire proprio da quello), non importa quanto St Anger abbia demolito quel po di speranza che avevate in un ritorno ai vecchi splendori. E’ uno sforzo dovuto in onore ai bei tempi passati trascorsi con Hetfield & Co.

E’ più o meno con questo stato d’animo che mi sono approcciato all’ultimo lavoro della band che più di ogni altra ha forse influito nella diffusione del metal: con un po di speranza ma anche con la consapevolezza che probabilmente sarei rimasto deluso. Non importa, dopo St Anger non mi spaventa più nulla: i Metallica sono stati il mio primo concerto e la band che ho sentito più volte dal vivo, dovevo necessariamente prendere il loro nuovo lavoro.

Quello che mi trovo di fronte è un doppio cd da 12 tracce complessive e già questo da un lato mi fa piacere (più musica da sentire) e dall’altro mi inquieta un po: è difficile trovare doppi cd realmente ben fatti, nei quali almeno uno dei due non sia una mera raccolta di pezzi scartati in precedenza.Di doppi veramente belli su due piedi mi viene in mente giusto Mellon Collie and the Infinite Sadness e poco altro.

Inizio comunque a sentire l’album sforzandomi di essere neutro, di valutarlo come se fosse una CD di un gruppo qualsiasi, non dei Metallica, con tutto ciò che questo comporta circa aspettative e ricordi di lavori passati.

Intanto sono subito sollevato dal sentire che la batteria di Lars è accordata: subito il terrore del ricordo di certi “esperimenti” di S. Anger lascia la mia mente. Direi che il pericolo peggiore sia scampato.

In realtà l’album scorre bene, alternando riff tipici delle sonorità di Hetfield a parti un po più armoniche e agli assoli di Hammett in una sequenza che ricorda da vicino la costruzione che i loro brani avevano in passato; in effetti il primo CD sembra voler riportare le menti di chi ascolta alla fine degli ottanta, e l’effetto non dispiace.  Hardwired, Atlas,Rise! e le altre si lasciano ascoltare piacevolmente, anche se un tempo medio intorno ai 6 minuti a traccia non sempre è sfruttato al meglio e, talvolta, rischia di essere eccessivamente ripetitivo.

I richiami (o tributi…dipende come li si intende) ai loro lavori passati e ad altre band del panorama metal sono abbastanza evidenti: nel susseguirsi delle tracce si sentono chiare citazioni compositive a Ride the lightning, o Master of Puppets, ma anche accenni agli Iron e ai motorhead. Il CD 1 si chiude con Halo on Fire: cavalcata lunga (oltre 8 minuti) che alterna belle parti armoniche ad un chorus più aggressivo e urlato ed in cui sono incluse lunghe parti strumentali, a volte veramente belle.

Confusion, prima traccia del CD 2, pareva confermare i miei timori sugli album doppi, canzone un po lunga, forse troppo, soprattutto perché eccessivamente piatta e a tratti noiosetta. ManUNkind, traccia che segue è decisamente più interessante e varia ma nulla di cui esaltarsi. Con Here Comes Revenge si fa un salto dentro a Load da cui sembrano attingere a piene mani: la canzone è ben fatta ma non è questo che spero di sentire dai Metallica.

Am I Savage? Murder One (canzone dedicata alla memoria del compianto Lemmy) sono invece due pezzi ben costruiti, con riff e parti armoniche che si mixano bene e in cui anche gli assoli danno la loro soddisfazione. Il secondo CD si chiude con Spit Out The Bone, canzone che accelera molto rispetto alle precedenti, quasi a voler richiamare i bei tempi in cui i metallica erano LA band thrash metal per eccellenza; una accelerazione che ci sta e che personalmente apprezzo molto: qualcosa che dica, una volta siamo stati quelli di Kill em all e volendo lo siamo ancora.

Come dare un giudizio complessivo a questo lavoro? Ok, se ci mettiamo a fare il paragone con il passato,  hanno senz’altro prodotto di meglio (ma anche molto molto di peggio…se non si fosse capito St Anger ancora lo devo digerire). Forse però non è questo il modo di affrontare un nuovo album dei Metallica. Nulla che potranno mai fare potrà reggere il confronto con i primi lavori, sarebbe impossibile e, anche se nei CD ci sono molti riferimenti al passato, non può essere quello il termine di paragone. E’ un album che va valutato stand alone e, in quest’ottica è un buon album in cui tracce un po più banali si susseguono con pezzi onestamente belli. A volte forse si dubita della autenticità dei molti riferimenti al passato e alle altre band: sarà un po un pregiudizio che accompagna i metallica, ma l’idea che siano innesti fatti ad arte per tentare di rifidelizzare una parte di pubblico viene spontanea.

Nel complesso comunque una sorpresa piacevole e di buona qualità, a tratti veramente bello: un album che credo metterò fra quelli da ascoltare con una certa regolarità.

 

No More Speech (e l’arte di prendere troppo alla lettera il proprio nome)

nomorespeech-photo-1Altra band italiana che personalmente amavo molto e che purtroppo  si è sciolta in breve: due parole sui No More Speech (per la serie mai nà gioia…possibile che quei gruppi che ti danno una speranza in Italia durino sempre poco…?).

La prima volta che ho sentito i No More Speech, sarà stato il 2010, ero in casa, televisore acceso su Rock TV, e attenzione rivolta altrove…sentendo la canzone il primo pensiero fu che doveva trattarsi di un nuovo singolo dei Guano Apes (ma non si erano sciolti?). Le sonorità, anche vocali, parevano riconoscibilissime, anzi per certi versi migliorate. Adoravo i Guano Apes di Proud Like a God e Don’t Give Me Names ma sarei rimasto non pienamente convinto dal loro ritorno nel 2011.

Invece quella che stavo ascoltando era una band nuova, e per di più italiana! Grande..

In effetti il richiamo alla band tedesca di Sandra Nasic è qualcosa più che un sussurro: partendo dal nome  (No More Speech richiama infatti No Speech dei Guano Apes), alla line essenziale, chitarra basso batteria, con suoni diretti, riff forti, linee di basso riconoscibilissime, il tutto catalizzato da una frontwoman energica e graffiante. In effetti Anche Alteria e Sandra si assomigliano molto,  da un punto di vista vocale, nella fisicità e nel modo in cui riescono ad aggredire il palco.

Ma i No More Speach non sono un gruppo fotocopia: sanno scrivere, sanno stare sul palco, sono personali negli arrangiamenti. Insomma, ispirati da Sandra & Co. si, imitatori no.

Formatisi verso la metà dei 2000, i No More Speech si sono conquistati la prima vera notorietà fra appassionati con la partecipazione ad un contest di Rock Tv che gli ha permesso di suonare come opening all’ Heineken Jamming Festival del 2010. Nel 2012 esce il loro album di debutto, intitolato proprio No More Speech, trainato dai singoli Picture of Gold (con il quale avevano vinto il contes due anni prima) e Think Or Feel .  Nel complesso un ottimo lavoro, ben prodotto, ben inserito nell’alveo della alternative e del cross over, sonorità energiche e testi diretti (scritti da Alteria); un cd da tenere in auto e ascoltare a volume ben alto.  Tanto da giustificare critiche cariche di aspettative per i lavori futuri dei quattro milanesi.

Personalmente di quel lavoro adoro Bplan (traccia 5 dell’album): intro di basso bello pompante su cui si inserisce un riff di chitarra energico. La voce di Alteria alterna parlati veloci caratteristici a momenti più potenti sui toni alti e rapidi cambi di ritmica intervallati da brevi stop (e qui l’influenza dei Guano Apes in effetti si fa sentire); nel complesso il pezzo che vuoi sentire quando cerchi quel genere.

Anche se senza dubbio il merito della qualità complessiva del lavoro dipende dalla sinergia generata da tutti i membri (Tony Cordaro alla chitarra, Nando De Luca al basso e Roberto Fabiani alla batteria), indubbiamente Alteria costituiva l’elemento caratterizzante del gruppo e catalizzatore delle attenzioni esterne ai loro lavori, tanto da acquisire di fatto una notorietà autonoma, anche grazie alla partecipazione a progetti paralleli (come I Rezophonic ideati da  Mario Riso) o alla conduzione di programmi radio e Tv.

La band si scioglie (ahimè prematuramente) nel 2013, lasciandoci comunque un album più che buono (che è molto di quanto abbiano fatto tanti altri gruppi in un lasso di tempo ben maggiore). Da allora Alteria ha intrapreso una carriera solista di tutto rispetto, alternando pezzi dalle sonorità fortemente contigue a quelle della sua vecchia band, con altri musicalmente più morbidi, in cui l’aspetto vocale divenisse quello preponderante.

In conclusione, sarebbe stato preferibile che avessero preso “meno alla lettera” il loro nome e avessero continuato a farsi sentire …

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Betty Poison: Is poison over?

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Primo articolo del blog; di cosa parliamo? Magari la finale di X Factor? ..buoni, sto scherzando.

Vorrei invece iniziare parlando di qualcosa made in italy, un gruppo che personalmente a me ha dato soddisfazioni; che non è mai entrato nel mainstream  pur essendo riuscito a portare a casa un discreto numero di concerti e collaborazioni, fra cui l’opening  delle Hole. Sto parlando dei Betty Poison, band romana con 2 album all’attivo: Poison for you (2009) e Beauty is over(2011).

Formazione essenziale (chitarra batteria basso), suoni diretti di chiara influenza grunge e il valore aggiunto che al tutto da Lucia, frontwoman dalla voce graffiante e dal carisma indiscutibile. Ascoltando i Betty poison sai cosa aspettarti fin dalle prime note, e in quello non ti deludono. Le sonorità sono sporche, energiche, la voce graffiante ricorda molto proprio quella di Courtney Love, senza però sembrarne l’imitazione. Anzi, rispetto alla band statunitense, i Betty poison  non lasciano quel retrogusto di costruito e il loro essere dissacranti, talvolta estremi, appare molto più autentico.

Canzoni come Fuck twiceParis Hilton up your ass e  Bad boy snuff toy arrivano dirette, veloci, incazzate. Abbinamento perfetto come colonna sonora di quei momenti in cui vin voglia di spaccare tutto quello che c’è attorno. Altri pezzi, come Seventeen, July o Time lasciano spazio spazio a linee armoniche più morbide alle quali la  voce graffiante di Lucia si adatta creando un interessante contrasto sonoro.

Se cercate i tecnicismi, i virtuosismi, gli infiniti assoli di chitarra, i Betty poison non fanno al caso vostro…ma se siete cresciuti a pane e Nirvana, se continuate a portarvi in macchina  Celebrity Skin (per quanto dentro di voi detestiate Courtney Love), dovete senza dubbio portarvi dietro anche i Betty poison.

La domanda è solo…ascolteremo qualcosa di nuovo o il veleno è finito?

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