Singles: i 25 anni del film manifesto Grunge

Il 2017 è il 25° anniversario dall’uscita del film “Singles, l’amore è un gioco”, diventato manifesto Grunge. Per l’occasione è stata prodotta una versione commemorativa della Soundtrack in versione deluxe, anche in vinile.

Se hai iniziato a leggere questo post perché sai cosa sia Singles e magari hai ancora nella tesa il concerto di Eddie Vedder a Firenze probabilmente stai pensando la stessa cosa che ho pensato io: già 25 anni?! cavoli sto diventando vecchio!

Altrimenti è il momento di saperne di più su questo film.

Singles è un film del 1992 (e fin qui nessuna notizia sconvolgente…25° anniversario nel 2017), diretto da Cameron Crowe, con Bridget Fonda, Campbell Scott, Kyra Sedgwick, Matt Dillon, presentato in Italia con il sottotitolo “l’amore è un gioco” (io mi chiedo….ma perché ?).

In ogni caso la trama di per se non è sconvolgente né memorabile: parla essenzialmente di vari intrecci amorosi, per lo più di due coppie e del loro gruppo di amici; niente che non avremmo visto di li a breve in Friends. Nel complesso quindi un film piacevole, a tratti simpatico, ma non certo tale da giustificare una qualche ricorrenza per il 25° anniversario dalla uscita.

Questo film però ha una particolarità che lo rende unico: come detto l’anno è il 1992 e, cosa ancora più significativa, il tutto è ambientato a Seattle, a dimostrazione che la città esisteva ben prima di diventare famosa per il Seattle Gray.

Quindi? Quindi in quel momento a Seattle stava esplodendo il Grunge e questo film ne è intriso dalla prima all’ultima scena.

Nevermind era uscito da pochi mesi e aveva fatto conoscere l’onda del Seattle Sound al mondo e la città era tutto un fermento di band che tentavano di sfondare, concerti in locali improponibili e giovani che si erano fatti conquistare dal Grunge come suono in grado di diventare colonna sonora immanente del proprio disagio, trasformandolo da genere musicale a vero e proprio movimento culturale.

Il film racconta anche tutto questo, e lo fa coscientemente, dando alla musica un ruolo da protagonista: uno dei protagonisti, Cliff Poncier (Matt Dillon) è (guarda caso) il cantante di un gruppo Grunge alla perenne ricerca di fortuna. Parlando del suo gruppo poi occorre aprire il secondo aspetto Grunge del film, i cameo. Il film infatti è costellato di apparizioni dei protagonisti della scena musicale cittadina. Il batterista del gruppo di Dillon è infatti interpretato da Eddie Vedder. All’interno del film troviamo anche Chris Cornell e Layne Staley. Insomma guardare questo film è un po come fare un tour nella Seattle musicale di inizi novanta e, diciamoci la verità, chi non vorrebbe farlo un tour del genere.

Poi c’è la cosa più importante: una colonna sonora pazzesca, ovviamente in gran parte sorretta dalla scena Grunge (Alice in Chains, Pearl Jam, Soundgarden, Mother Love Bone, Screaming Trees ), impreziosita da innesti significativi (The Smashing Pumpkins e Jimi Hendrix su tutti), oltre ad una serie di pezzi scritti da Chris Cornell appositamente per l’occasione.

Il Grunge, all’epoca ancora all’inizio della propria storia, ha poi finito per essere la colonna sonora di una intera generazione e, per certi versi incredibilmente, questo film, trascendendo ogni significato originariamente attribuibile alla trama, proprio grazie al ruolo della musica, ha superato i propri limiti finendo per diventarne il manifesto e, in qualche modo il simbolo della generazione stessa.

In conclusione, un film che, prescindendo dalla trama, devi vedere e (soprattutto) una colonna sonora fantastica che devi avere.

Per l’occasione è stata prodotta una versione commemorativa della Sountrack in versione deluxe, anche in vinile.

Singles Soundtrack (Deluxe Edition) CD Tracklist:
Disc 1:
01. Alice in Chains – Would?
02. Pearl Jam – Breath
03. Chris Cornell – Seasons
04. Paul Westerberg – Dyslexic Heart
05. The Lovemongers – Battle of Evermore
06. Mother Love Bone – Chloe Dancer / Crown of Thorns
07. Soundgarden – Birth Ritual
08. Pearl Jam – State of Love and Trust
09. Mudhoney – Overblown
10. Paul Westerberg – Waiting for Somebody
11. Jimi Hendrix – May This Be Love
12. Screaming Trees – Nearly Lost You
13. The Smashing Pumpkins – Drown

Disc 2:
01. Citizen Dick – Touch Me I’m Dick
02. Chris Cornell – Nowhere But You
03. Chris Cornell- Spoonman
04. Chris Cornell – Flutter Girl
05. Chris Cornell – Missing
06. Alice in Chains – Would?
07. Alice in Chains – It Ain’t Like That
08. Soundgarden – Birth Ritual
09. Paul Westerberg – Dyslexic Heart
10. Paul Westerberg – Waiting for Somebody
11. Mudhoney – Overblown
12. Truly – Heart and Lungs
13. Blood Circus – Six Foot Under
14. Mike McCready – Singles Blues 1
15. Paul Westerberg – Blue Heart
16. Paul Westerberg – Lost in Emily’s Woods
17. Chris Cornell – Ferry Boat #3
18. Chris Cornell – Score Piece #4

EDDIE VEDDER, cause world need heroes (scaletta ed emozioni del Concerto di Firenze)

Ci sono giornate no, dure da digerire come una scatola di chiodi, in cui ti senti fuori posto ovunque, in cui speri di no, ma dentro sai che hai fatto l’ennesima scelta sbagliata, sull’ennesima persona che ti ha lasciato di sasso.

E poi c’è la musica, potente catalizzatore di tutto il tuo mondo.

Andare ad un concerto di Eddie Veddere, che sia accompagnato dai suoi Pearl Jam o da solo, è sempre una emozione particolare perché, si sappia, Eddie Vedder non è un cantante: è un supereroe della Marvel, un Avanger col potere di farti credere che, forse, un mondo migliore ancora può esistere.

Prima del frontman dei PJ sale sul palco Glen Hansard, dublinese che, anche volendo, non sarebbe potuto essere più irlandese di così, sia nel fenotipo, che nelle atmosfere. Con lui i 50.000 dell’arena entrano in una atmosfera intimista, simile ad una serata in Temple Street. Ma è bravo e la gente lo segue, riscaldandosi per la portata principale.

Alle 22.45 (orario insolito…a quanto pare dovuto alla concomitanza del concerto con la festa patronale fiorentina….e quindi? mah!) finalmente sale sul palco Eddie Vedder. Personaggio complesso, anche lui ha i suoi fantasmi da portare dietro e lo fa caricando di passione e di emozione il concerto.

Il timore che rumoreggiava fra alcune nel pubblico, ossia che la formula in solitario chitarra e voce  si adattasse male al concerto da festival estivo e fosse da preferire in ambienti più ristretti, svanisce fin dalle prime note.

Sul palco c’ lui solo, le sue chitarre e la sua voce e l’effetto è estremamente coinvolgente. Sei li, in mezzo alla folla, ma hai quasi l’impressione di essere con un gruppo di amici e qualche birra in un prato, o in spiaggia: uno tira fuori la chitarra ed inizia  cantare e gli altri gli vanno dietro. Solo che qui l’amico che canta è Eddie e gli altri sono una folla oceanica che riempie l’arena.

La scaletta si regge principalmente su pezzi dei PJ, con l’innesto dei sui brani da solista, primi fra tutti quelli inseriti nella soundtrack di “Into the wild” di e alcune cover di Neil Young (fra cui l’immancabile Rockin’ in the free world), dei Pink Floyd (Brain damage e Comfortably numb) e una versione stupenda di Imagine di  John Lennon cantata assieme al pubblico.

Eddie ha alternato grande energia e situazioni quasi epiche (come quando è sceso fra il pubblico ed ha iniziato a cantare sorretto dalla folla) a momenti delicati, quasi commoventi. Senza dubbio uno di questi è stata la versione proposta di Black terminata sussurrando in ripetizione le parole “come back” e trattenendo a stento le lacrime, senza riuscire a ripetere per l’ultima volta le parole, generando una ondata di emozione generale.

Per gli ultimi pezzi risale sul palco Glen Hansard e insieme duettano in maniera estremamente coinvolgente.

E’ per questo che Eddie, in fondo, è un supereroe: quando canta trasmette empatia come pochi; sei in mezzo a decine di migliaia di persone ma ti senti ad un raduno fra pochi amici, ammesso per benevolenza alla setta dei poeti estinti, assapori i momenti di poesia in musica che offre. Ad un suo concerto salti, batti le mani, canti, tutto con la sensazione inspiegabile di essere speciale solo per il fatto di essere li; te ne vai con la consapevolezza che hai assistito a qualcosa di bello che scaverà ancora dentro di te.

Per fortuna ogni tanto si incrocia un eroe, e il mondo ne ha un gran bisogno.

 

SCALEETTA

  1. Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
  2. Wishlist
  3. Immortality
  4. Trouble (cover di Cat Stevens)
  5. Brain damage (cover dei Pink Floyd)
  6. Sometimes
  7. I am mine
  8. Can’t keep
  9. Sleeping by myself
  10. Setting forth
  11. Guaranteed
  12. Rise
  13. The needle and the damage done (cover di Neil Young
  14. Unthought known
  15. Black
  16. Porch
  17. Comfortably numb (cover dei Pink Floyd)
  18. Imagine (cover di John Lennon)
  19. Better man
  20. Last kiss (cover di Wayne Cochran)
  21. Falling slowly (cover degli Swell Season)
  22. Song of good hope (cover di Glen Hansard)
  23. Society (cover di Jerry Hannan)
  24. Smile
  25. Rockin’ in the free world (cover di Neil Young)
  26. Hard sun

Guns N’ Roses Tour 2017 “Not in this lifitime”: resoconto di un evento

Ok, quando è uscita la notizia di un Tour dei Guns in versione (praticamente) originale – il che significa Axel, Slash, Duff e Richard di nuovo insieme- eravamo tutti un po scettici sulla effettiva resa sul palco della band californiana, sensazione accreditata anche dalle ultime performace note di Axel, non esattamente all’altezza. Il rischio della operazione puramente commerciale incombeva concreto su tutti noi.

In ogni caso le premesse per un concerto evento c’erano tutte e diventava imperativo esserci: ero troppo piccolo per poter andare a Venezia a sentire i Pink Floid in quel loro concerto epocale ed ho sempre guardato un po di invidia coloro che, invece, possono dire “io c’ero”. Questa vola bisognava esserci, prescindendo da come avrebbero suonato.

Pre-ritrovo a Bologna la sera prima: un volo da Catania, un’altro da Milano, due macchine dalla Toscana e da Roma…lo sforzo logistico da l’idea delle aspettative che vengono riposte nel GNR’s day.

La giornata si preannuncia lunga, calda e il concerto una prova di resistenza fisica notevole (altro che Spartan). In arrivo una folla oceanica e volendo proprio essere onesti l’organizzazione qualche pecca la dimostra (senza dilungarmi cito giusto i famigerati token, una sorta di fiches che chi vuol provare a mangiare o bere qualcosa deve necessariamente acquistare-direi prossimi alla truffa legalizzata).

Quando ancora l’arena si sta riempiendo iniziano a suonare Phil Campbell and the Bastard Sons seguiti dai The Darkness  danno una prima scaldataal pubblico. Ottime performace entrambe, ma è chiaro che l’autodromo, ormai pieno come non lo avevo mai visto, aspetta la portata principale.

Sono ormai le nove passate quando iniziano a suonare i Guns ironicamente aperti dalla sigla dei Looney Tunes.

Il viso di Axel non promette nulla di buono: una maschera invecchiata male e corretta peggio chirurgicamente.

Ma la musica, quella è tutta un altra cosa, ed è anche l’unica cosa che conti. Iniziano a macinare pezzi con una qualità musicale e vocale impressionante; partenza con It’s so Easy: si sono loro,  la chitarra di Slash irrompe peculiare e riconoscibile e la voce di Axel si scalda dopo poche strofe e c’è in pieno.

Quasi subito dal palco arriva la domanda “do you know where you are” “you are in the jungle baby”. Parte il riff e il prato diventa una bolgia ingovernabile di corpi che saltano, spingono, ondeggiano spinti da altri 80 mila accanto a loro. (e qui spunta la domanda che arriva sempre a quel punto dei concerti..su chi me lo abbia fatto fare).

La  scaletta prosegue retta dalla ossatura di di Appetite For Destruction (8 brani dell’album fatti in totale), e i fan non possono che apprezzare: non manca nessuno dei pezzi fondamentali, da Civil War a Paradise City, passando per Knockin’ on Heaven’s Door, Sweet Child O’ Mine, Patience e Dont’ Cry. Tutte eseguite veramente bene con una resa davvero  coinvolgente e alcuni momenti letteralmente da pelle d’oca, come quando si accendono  le luci e Axel, seduto al piano, inizia a suonare November Rain. 

A queste condizioni si accetta benevolmente anche qualche intromissione da Chinese Democracy.

La marea umana presente ha saltato, ha cantato a squarciagola gran parte dei pezzi, come la cover strumentale di Wish you where here interamente sorretta vocalmente dal pubblico; ha applaudito la cover tributo di Black Hole Sun, il tutto per quasi tre ore di concerto devastante, in ogni senso. 

E alla fine anche quella domanda retorica che per un attimo si era fatta strada nella mente (su chi me lo avesse fatto fare), trova la sua risposta: non si è qui per sentire questa o quella canzone. Si è qui per tutta una vita. Per vivere un evento che ha coinvolto tre generazioni, magari con chi quella musica 20 anni fa con te la ascoltava o la suonava, o con chi ti sta accanto in questo momento; per una sorta di catarsi collettiva che parta dalla tua adolescenza e guardi al futuro. Ciascuno aveva il proprio motivo per esserci, l’importante era essere qui.

Sei qui anche perché, dopo la morte di Chris Cornell, ennesima botta ad un decennio fondamentale della tua vita, urge una rivincita. E i Guns, con un concerto così, quella rivincita la danno.

Insomma gente se c’eravate sapete di cosa parlo: ricordatevi con chi eravate, perché questo è un concerto che farà epoca e che, come pochi altri, dividerà in due fra chi c’era e chi no. Questa volta c’ero.

La scaletta del concerto riportata a questo link

PS. Non attaccate con cose del tipo Slash ha infilato un paio di stecche negli assoli di November Rain o Axel ha cantato qualche tono più basso….un evento del genere non si giudica da questo.

 

Say hello to heaven Chris Cornell

Aprire distrattamente il cellulare e leggere una notizia che non ti aspettavi, che non avresti mai voluto leggere: anche Chris Cornell ci ha lasciati. Troppo presto.

Per chi, come me, nato alla fine degli anni ’70, era in piena adolescenza durante l’ esplosione del Grunge, questa non può essere una notizia come tante. Certo il Seattle sound ci ha abituati a piangere i suoi eroi, troppo spesso vissuti velocemente e morti velocemente, come tanti Achille del Rock.

Troppo spesso ci siamo consolati ascoltando i loro capolavori, o le canzoni dedicate da qualche super gruppo tributo, come i Temple of the Dog di cui ho avuto già modo di scrivere qui.

Chris non è il primo: fin dalle origini Andrew Wood, Kurt, Layne Staley, tutte stelle spente troppo presto. Ora ci ha lasciati una delle voci più belle e peculiari del Grunge e in generale del Rock, e con lui se n’è andato un altro pezzo della nostra adolescenza, dei nostri sogni, di noi:  ad esempio svanisce un po, diradandosi,  quella sera, passata a cantare con gli amici per strada, con una chitarra, discutendo di quale fosse il gruppo migliore, o quella volta in cui  per vedere un concerto abbiamo guidato tutta la notte o  dormito per terra alla stazione di Milano. Le birre con gli amici, il momento in cui ancora non avevi mai indossato una cravatta e l’unica seconda pelle che avevamo, al massimo, era un t-shirt con il sorriso ubriaco e la scritta Nirvana.

E mentre certe cose spariscono, altre si concretizzano: ora sai che non vedrai più quel concerto dei Temple of The Dog a cui tanto avresti voluto assistere, che non ci sarà più un nuovo albun dei Sound Garden che ti fa pensare che in fondo ancora spaccano.

Soprattutto ti rendi conto, una volta di più, che la vita alla fine è questo: pezzi del tuo passato che man mano ti lasciano segnando il conto dei tuoi giorni che passano.

Supereremo anche questa, con le cuffie per ascoltare quelle canzoni ancora una volta, con una chitarra o un basso per suonarle di nuovo, consumando i vinili, ricordando chi eravamo e chi, in fondo, un po siamo ancora. Perché alla fine, anche se tante cose ci abbandonano, qualcosa di loro rimarrà sempre in ciascuno di noi e sapere che quei frammenti esistono e accomunano tanti di noi, un po aiuta.

Chriss Cornell ha cantato una infinità di canzoni meravigliose, ma in questo momento mi sento di salutarlo con quella che lui scelse per salutare il sui amico Andrew.

Say Hello to Eaven, Chyris

  1. Leggi tutto “Say hello to heaven Chris Cornell”

Mad Season, il “supergruppo” Grunge

Quando si parla di “supergruppi” e di Grunge una menzione d’obbligo va fatta anche per i Mad Season.

Quell’alchimia particolare creata dall’incrocio fra un periodo, i primi anni novanta, ed una città, Seattle ha regalato alla storia del rock una delle sue espressioni più peculiari. Ok, che tenga particolarmente al Grunge ormai si è capito.

Non è però solo una questione musicale, di sonorità. Ciò che forse più di ogni altra cosa attrae del Seattle sound è l’atmosfera, il legame, quasi il senso di appartenenza dei musicisti che ne hanno determinato la storia e le fortune.

Forse proprio perché Seattle è una città abbastanza isolata, i gruppi ed i musicisti sono maturati in un ecosistema misto e chiuso, fatto di relazioni, di progetti condivisi e di “supergruppi”. Uno di cui vi ho già detto in questo post sono i Temple of the Dog. 

Altro esempio iconico è rappresentato dai Mad Season. 

Il tutto nasce, come spesso in storie come questa, dall’incontro casuale di due musicisti, tanto diversi nella storia personale, quanto simili nei tratti musicali che esprimono: Mike Mc Cready, chitarra solista nei Pearl Jam (si, quando c’è una bella storia di Grunge i Pearl Jam in qualche modo c’entrano sempre) e di un bassista allora semi-sconosciuto nativo di Chicago, John Philip Saunders.

L’incontro avviene in un centro per la riabilitazione di alcolisti e tossicodipendenti (anche questo non è esattamente un aspetto di novità nella storia del Rock) a Minneapolis, e quale miglior terapia che buttarsi in jam sessions improvvisate.

In breve venne coinvolto l’amico comune e membro di un’altro gruppo fondante del movimento di Seattle,  Layne Staley degli Alice in Chains. Ultimi ad essere inseriti nel progetto furono il batterista ed il leader  degli Screaming Trees , Barrett Martin e Mark Lanegan.

Il “supergruppo” venne da prima “ironicamente” (ma neanche troppo viste le abitudini dei membri) chiamato  Drugs Addicts And Alcoholics , quindi Gacey Bunch ed infine Mad Season. L’idea era quella di suonare un po in giro, specialmente nei locali della città, primo fra tutti il Crocodile Cafè, famoso locale gestito dalla moglie di Peter Buck dei R.e.m., senza il progetto concreto di trarne nulla di che, solo per il gusto di fare.

Ma eravamo già alla metà degli anni 90, il Grunge era esploso nel mondo e le case discografiche erano alla continua ricerca di nuovi progetti da sponsorizzare. Un gruppo formato da nomi come i componenti dei Mad Season non poteva certo sfuggire alle Major.  La  Columbia infatti offre loro un contratto per un disco, Above, che uscirà nell’aprile del 1995.

Il disco, la musica insieme, diventano così la terapia di gruppo in cui infilare tutte le contraddizioni e i fantasmi che li permeavano. La cosa è evidente già col primo singolo,  Wake Up, ballata lenta perfettamente armonizzata dalla peculiare voce di Layne Staley.

River of Deceit, traccia numero tre, è un’altra ballata di estrema bellezza e delicatezza, anche se infusa da un sottofondo di tristezza, quasi disperazione,  in cui il gruppo fonde la propria esperienza Grunge con i tratti tipici del rock anni 70.

La parte energetica dell’album è assicurata da tre pezzi in cui i tratti Grunge discendenti dall’hard rock sono più marcati : I’m Above, Artificial Red e Lifeless Dead. Quest’ultimo pezzo in particolare miscela un riff di memoria vagamente (neanche troppo)  “sabbathiana” ad una parte ritmica e lirica molto vicina agli esordi degli Alice.

I don’t know anything è un altro pezzo dai contorni tipicamente Grunge, fortemente caratterizzato dalla vocalità di Layne Staley e da una ritmica costante, quasi ipnotica.

Pezzo peculiarissimo invece è Long Gone Day. Ritmica morbida, assicurata da un giro di basso leggero ma persistente, xilofono e tonalità quasi caraibiche, il tutto in una lirica talvolta sussurrata, altre volte urlata, accompagnata da picchi di sax caldo.

Above, album caratterizzato da pezzi buoni, alcuni veri e propri capolavori, rimarrà purtroppo un’opera unica.

Da prima gli impegni dei vari componenti con i rispettivi gruppi di origine ha reso impossibile la prosecuzione dell’esperienza.

Baker morirà di overdose nel 1999 e a tre anni di distanza anche Staley lo seguirà. Tutti per colpa di quello stile di vita che, in fondo li ha da sempre accomunati e fatti incontrare, così che ciò che ha creato questo stupendo album, l’elemento catalizzatore di tutto, è anche il motivo ultimo per cui rimarrà unico.

Nuovo album e tour per Caparezza

Prossima uscita di un nuovo lavoro per Caparezza: il 15 settembre è infatti stata annunciata l’uscita del suo nuovo album. Ad oggi ancora non sono noti particolari, ma c’è grande attesa fra i tanti che amano l’artista pugliese.

Oltre al nuovo lavoro Caparezza ha anche annunciato le date del tour 2017

CAPAREZZA TOUR 2017
17 novembre – Ancona
18 novembre – Bari
25 novembre – Bologna
28 novembre – Napoli
29 novembre – Roma
1 dicembre – Montichiari
2 dicembre – Padova
6 dicembre – Milano
7 dicembre – Torino

I biglietti saranno in vendita su Ticketone.it a partire dalle ore 10.00 di venerdì 12 maggio.

in attesa delle nuove canzoni un pezzo tratto dal vecchio lavoro

Metallica: Biglietti e costi delle date italiane

 

 

I metallica, come ormai di certo saprese, faranno tre date italiane nel loro tour, una a Torino e due a Bologna.

10 febbraio 2018 – Torino, Pala Alpitour
12 febbraio 2018 – Bologna, Unipol Arena
14 febbraio 2018 – Bologna, Unipol Arena

Sono già aperte le prevendite generali  e c’è da dire che i Metallica, ancora una volta, non saranno a buon mercato per tutti i loro fan.

Saranno disponibili, oltre ai  biglietti, anche pacchetti VIP, tutti disponibili su Ticketone a QUESTO LINK

La vendita sarà effettuata con modalità tese a scoraggiare il fenomeno dei secondary tiketing . Come comunicato da Live Nation, infatti,  il nome intestatario dell’ordine, fornito in fase di registrazione sul sito Ticketone, verrà riportato sui biglietti acquistati.
L’intestatario dell’ordine dovrà presentarsi ai cancelli con il biglietto ed il proprio documento d’identità valido (no fotocopie). In caso di acquisto multiplo tutti i biglietti riporteranno il nominativo dell’intestatario dell’ordine, il quale dovrà presentarsi ai cancelli insieme alle altre persone destinatarie dei biglietti riportanti il suo nome. Non sarà necessario presentare la carta di credito utilizzata per il pagamento.

Di seguito i prezzi dei biglietti e dei pacchetti VIP:

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PREZZI di biglietti e pacchetti VIP

Settore rosso: 92,00 €
Settore giallo: 74,75 €
Settore verde: 51,75 €

 

 

Descrizione Pacchetti

Pacchetto Vip 1 – “Hardwired Experience” *

Se sei disposto a tutto pur di fare una esperienza unica, i Metallica hanno predisposto un pacchetto esclusivo, acquistabile da sole 12 persone:

Prezzo pacchetto: € 2.399,00
[Disponibile solo per la data di Torino]

Il pacchetto comprende:
• Un (1) biglietto di 1° settore numerato entro le prime due (2) file del settore
• Ingresso dedicato ‘Through The Never’ per accedere all’interno del palazzetto
• Possibilità di incontrare i membri della band all’interno del backstage **
• Foto di gruppo con tutti e 12 gli ‘Hardwired Experience’ fan e con tutti e quattro (4) i membri dei Metallica
• Un (1) setlist autografata da tutti e quattro i membri dei Metallica
• Ingresso al ‘Sanitarium Rubber Room’ comprensivo di:
– Possibilità di Bar a pagamento comprensivo di due (2) free drink ***
– Cena allo ‘Spit Out The Bone’ Buffet
– Accesso al ‘Memory Remains’: una mostra esclusiva con cimeli della band, abiti di scena, strumenti, effetti personali e molto altro ancora
• Un (1) poster dei Metallica in edizione limitata
• Un (1) t-shirt dei Metallica
• Punto vendita merchandise riservato
• Personale VIP NATION dedicato in loco
* Limitato a (12) acquirenti per data
** I componenti della band potrebbero essere differenti per ogni show
*** Si applicheranno le leggi correnti per la distribuzione delle bevande alcoliche
**** Nota bene, gli orari e il luogo di svolgimento delle attività che accadono prima dell’inizio del concerto potranno variare a seconda della venue durante la giornata.

Pacchetto Vip 2 – “Whiplash Experience”

Prezzo pacchetto: € 369,00
[Disponibile solo per la data di Torino]

Il pacchetto comprende:

• Un (1) biglietto di 1° settore numerato entro le prime dieci (10) file del settore OPPURE un (1) biglietto Parterre In Piedi
• Ingresso anticipato al Parterre In Piedi (esclusivamente se è stato acquistato il Parterre In Piedi)
• Ingresso dedicato ‘Through The Never’ per accedere all’interno del palazzetto
• Ingresso al ‘Sanitarium Rubber Room’ comprensivo di:
– Possibilità di Bar a pagamento comprensivo di un (1) free drink *
– Cena allo ‘Spit Out The Bone’ Buffet
– Accesso al ‘Memory Remains’: una mostra esclusiva con cimeli della band, abiti di scena, strumenti, effetti personali e molto altro ancora
• Un (1) poster dei Metallica in edizione limitata
• Un (1) t-shirt dei Metallica
• Punto vendita merchandise riservato
• Personale VIP NATION dedicato in loco
* Si applicheranno le leggi correnti per la distribuzione delle bevande alcoliche
** Nota bene, gli orari e il luogo di svolgimento delle attività che accadono prima dell’inizio del concerto potranno variare a seconda della venue durante la giornata.

Pacchetto Vip 3 – “Unforgiven”

Prezzo pacchetto: € 179,00
[Disponibile sia per le date di Bologna che quella di Torino]

Il pacchetto comprende:
• Un (1) biglietto di 1° settore numerato OPPURE un (1) biglietto Parterre In Piedi
• Ingresso dedicato ‘Through The Never’ per accedere all’interno del palazzetto
• Un (1) poster dei Metallica in edizione limitata
• Un (1) articolo esclusivo del merchandise dei Metallica in regalo
• Personale VIP NATION dedicato in loco

Nota bene: l’ingresso anticipato e l’accesso al ‘Memory Remains’ dei Metallica non sono inclusi nel pacchetto “Unforgiven”

 

WIR: “Unusual Romance”, un EP da ascoltare .

La tradizione del Rock indipendente romano offre, da sempre, numerosi spunti interessanti: recentemente vi ho parlato degli Acid Muffin; oggi vi presento un’altra realtà che senza dubbio merita di essere tenuta d’occhio: i  WIR.

La band è attiva dal 2013  grazie ad una idea di Valentina Barletta, voce del gruppo, facendosi conoscere ed apprezzare sulla scena romana con numerosi  live nei principali palcoscenici cittadini.

Recentemente hanno autoprodotto il loro primo EP,  “Unusual Romance” ,con il quale intendono far conoscere le loro sonorità ben oltre raccordo.

Dalla nascita ,quasi come progetto solista di Valentina (da qui l’origine W.I.R. o woman in red), il progetto si è assestato sulla formazione attuale che vede, oltre a Valentina, Erica Cuda alla chitarra, Fulvio D’alessio al basso e Stefano Marabelli alla batteria (da qui la perdita dei punti e la trasformazione in WIR-dal tedesco pronome noi). Il “noi” con il quale i  WIR si presentano emerge anche dai crediti dei loro lavori: testi e musica, nella loro interezza vengono attribuiti ai quattro membri.

Chi ha già avuto modo di leggere altri pezzi precedenti sa quanto apprezzi questa tipologia di formazione, essenziale e diretta, così come i suoni che necessariamente ne derivano.

In questo i WIR  non deludono le aspettative ed il risultato, tanto nei live quanto nel lavoro in studio, risulta onesto e senza fronzoli, aspetto troppo spesso sottovalutato nelle produzioni recenti.

Gli arrangiamenti sono molto curati, così che le linee di basso di Fulvio si integrano molto bene con le ritmiche di Erica, a volte compensandole, altre volte rafforzandole. Il suono che ne deriva, pur nella essenzialità, emerge sempre pieno ed energico.

I differenti background dei WIR, che vanno dal blus al metal, passando per la new wave, danno al progetto una connotazione con differenti sfumature ben amalgamate, spesso riconoscibili anche all’interno del medesimo pezzo.

Il primo singolo tratto da Unusual Romance è “Borderline”,  archetipo del messaggio che i WIR intendono lanciare con il loro progetto: il tema è quello dell’amore, visto però dalla differente prospettiva  delle ferite che può lasciare, di quanto possa logorare e, a volte far perdere dignità, ma anche della volontà, nonostante tutto, di mettersi in gioco.

Il messaggio viene veicolato a volte con ritmi energici, più vicini all’hard rock , come appunto in “Borderline” e “Humanimals”, altre volte in maniera più malinconica e con ritmi più melodici vicini alla ballata; è questo il caso di “Hospital”  o “1999”, in cui l’intro armonico lascia spazio a riff più aggressivi in un bel crescendo di energia.

In tutto ciò la voce di Valentina emerge sempre a proprio agio, tanto quando spinge e diventa graffiante, così come nei momenti più delicati in cui si propone quasi sussurrante, pienamente credibile anche nei testi in inglese che il gruppo propine.

Quindi, in conclusione, credo ci siano almeno due ottimi motivi per seguire i WIR e per tenerli d’occhio:

1) sono tecnicamente bravi, anche nei live. Sanno arrangiare bene, e sanno suonare, anche in versione unplugged. Curano molto il loro lavoro, in ogni aspetto, dalla produzione alla esecuzione. Questo,anzi questi, visto che in effetti sono già tre motivi distinti, direi sono i motivi fondamentali.

2) rappresentano un mondo, quello indie rock nostrano, che merita di essere  coltivato e da cui dovremmo attingere sempre più spesso, unica realte alternativa al niente che emerge in Italia  dei talent.

 

WIR su facebook

prossimi live: il 23 marzo i WIR si esibiranno in versione acustica al Pigneto Caffè (RM)

 

Harrison, Clapton & Gently Weeps

Fra la fine dei 60’s e l’inizio dei 70’s ci sono una infinità di aneddoti e storie di Rock che vale la pena conoscere, fra queste quella su Harrison, Clapton & Gently Weeps.

Quella fra George Harrison ed Eric Clapton è forse una delle amicizie più significative della storia del rock di quel periodo, non soltanto perché i due erano decisamente punti di riferimento assoluto per l’ambiente e per i fans (visto che banalmente il primo era il chitarrista della band più influente di tutti i tempi ed al secondo venivano dedicate scritte del tipo “Clapton è Dio”), ma anche e soprattutto perché  la loro amicizia ha superato momenti che avrebbero messo a dura prova qualsiasi rapporto ed ha di fatto scritto la storia del Rock.

Famoso, e in qualche modo contornato da leggenda, è l’aneddoto che riguarda Pattie Boyd, moglie dello scarafaggio di cui però Clapton si innamorò perdutamente, ricambiato. Siamo nel 1974 quando Pattie lascia Harrison per Clapton; Ciò nonostante i due rimangono amici: leggenda vuole che in fondo essere lasciato per un chitarrista tanto bravo pesasse meno al Beatle.

Qui però siamo ancora nel 1968, i Beatles stanno incidendo il “White Album” e John e Paul si divertono a rivaleggiare nella composizione dei pezzi, rispondendo colpo su colpo. Registrano brani come “Happiness Is a Warm Gun”, la cui composizione complessa inserisce tre differenti melodie che vanno dal blus al rock in un unico brano.

Anche George ha composto un brano per l’album. L’ispirazione gli è venuta leggendo un libro di filosofia orientale, l’ I Ching: la visione del tutto collegato al tutto descritta nel testo in qualche modo lo spinge ad aprire un libro a caso ed iniziare a comporre partendo dalle prime due parole lette, appunto “gently weeps”.

Harrison crede molto nel pezzo ma la registrazione da fin da subito grossi problemi: incidono molte volte la traccia, senza che l’effetto sia quello sperato, iniziando per di più a creare malumori fra i 4.

Durante una pausa George si trova in macchina con l’amico Eric, proprio parlando di quanto la registrazione stia diventando problematica, quando…ecco l’idea: “hai la tua chitarra con te?” Domanda inutile, Eric aveva SEMPRE la propria Gibson con se. “ok, andiamo in studio e registra il pezzo con noi”.

La questione non è così semplice: chiunque frequenta i quattro di Liverpool conosce anche bene la loro regola. Mai far suonare estranei assieme a loro. Da qui l’iniziale esitazione di Clapton, presto vinta dall’amico. Che cavoli si tratta pur sempre di suonare coi Beatles!

Inutile dire che il contributo “divino” da i propri frutti, e Calapton improvvisa uno splendido assolo da inserire nel pezzo, che finalmente suona esattamente come Harrison lo ha  immaginato durante la scrittura.

Gli altri Beatles dichiararono in seguito che, nonostante la loro regola, l’intervento di Eric fosse servito a restituire serenità al gruppo. Di fatto però nei crediti ufficiali del White Album, manca la menzione di Clapton.

Ciò nonostante rimane una stupenda storia di Rock.

while my guitar gently weeps

Acid Muffin: ottimo Hard Rock made in Italy

Trio romano (Marco Pasqualucci chitarra e voce, Grabriel Alvarez basso, Andrea latini batteria), gli Acid Muffin sonoforse una delle migliori novità del panorama rock nazionale.

La band ha recentemente presentato l’album “Bloop” , 12 canzoni cantante in inglese e lanciate dal primo singolo “The last illusion” , pezzo in cui emergono tanto le capacità armoniche quanto l’influenza più hard rock del trio.

Ascoltando gli Acid Muffin si sente subito una certa influenza grunge senza disdegnare riflessi punk rock ed hard rock, con un risultato complessivo che, anche grazie ai testi in inglese, rendono molto internazionale il prodotto finale.

Line up essenziale classica, chitarra basso batteria, in cui si alternano riff muscolari a linee di basso più pronunciate così che il suono emerge sempre pieno ed energico.

In Bloop tuttavia non mancano anche pezzi più armonici, come la delicata “Smoking my little soul” in cui, ad un intro piano e voce segue una seconda parte più urlata ottimamente arrangiata in un crescendo piacevole.

E le capacità di arrangiamento emergono anche e soprattutto nell’ascolto della band in versione acustica. In una intervista per Metal Hammer spiegano infatti “Abbiamo passato diversi mesi a ri-arrangiare i brani in acustico, non è stato semplice trovare quella morbidezza nascosta nei brani di Bloop da riproporre poi dal vivo. L’atmosfera è totalmente diversa, molto più intima. È  un po’ come essere nudi sul palco. Non possiamo dire di preferire il set elettrico a quello acustico perché sono sensazioni differenti e ci troviamo a nostro agio in entrambe le dimensioni. Comunque è da un po’ che abbiamo in mente di incidere un album completamente acustico quindi non è da escludere che più avanti potremmo metterci a lavorare per realizzarlo.”

Che dire, un lavoro convincente, ottime capacità nei live, ci sono tutte le premesse per seguire con attenzione le prossime tappe degli Acid Muffin.

www.acidmuffin.com