GRETA VAN FLEET: AMARLI OD ODIARLI?

Il 2018 appena concluso, dal punti di vista musicale (o almeno da quello della musica rock) ha consegnato una novità assoluta che, fin da subito, ha suscitato l’interesse del pubblico e, in parallelo, un enorme divisione fra amanti e detrattori: i Greta Van Fleet.

Il mio primo contatto con i quattro del Michigan si è svolto più o meno così: traffico di Roma, radio Rock in macchina, sento una canzone e un po’ perplesso mi chiedo come sia possibile che ci siano canzoni dei Led Zeppelin che ancora non conosca. Lo speacker disannuncia il brano e l’arcano viene scoperto: semplicemtne te non sono i Led ma i GVF.Perché sì, va detto subito e chiaramente, una delle peculiarità di questo giovane gruppo, sua forza da un lato e debolezza dall’altro, è proprio una estrema somiglianza con il gruppo padre dell’Hard rock mondiale.

Non si parla solo di somiglianza nella timbrica di Joshua Kiszka, frontman del gruppo, ma più in generale nello stile dei riff, nella struttura di certi assoli, negli arrangiamenti, nel sound che da un chiaro effetto revival anni settanta.

Del resto se capita di ascoltare una band che riesce bene o male a farsi accostare a mostri sacri come i Led Zeppelin, come minimo è necessario soddisfare l’inevitabile curiosità di ascoltarli di più e capire fino a che punto la cosa sia un “gioco voluto” e quanto sia invece una “necessità tecnica e compositiva”.

La cosa non è ovviamente sfuggita ad addetti ai lavori così come al grande pubblico, creando fin da subito in entrambi una netta divisione fra sostenitori e detrattori del gruppo americano.Questi ultimi soprattutto, pur dovendo riconoscere la bravura tecnica dei quattro ragazzi poco più che ventenni, ritiene l’aspetto imitativo prevalente, forzoso e, in definitiva, prevalente rispetto alle indiscusse doti della band. 

La discussione non ha esentato nemmeno molti big del rock: secondo Alice Cooper ad esempio “Il rock è quel genere di musica che è destinato a non morire mai – ha detto – ci sono tante nuove band adesso, pensate ai Greta Van Fleet. È un gruppo che ha riflettuto sul fatto che i Led Zeppelin hanno dominato la scena musicale a lungo e che si è quindi detto ‘Facciamo i Led Zeppelin’. La gente è pronta per i nuovi Led Zeppelin, ecco quindi che il rock torna di nuovo a essere in prima linea”.

Fra gli estimatori va certamente annoverato anche Elton John che, dichiaratamente colpito dalle doti del gruppo, ha deciso di invitarli a esibirsi con lui al Saturday Night’s Alright for Fighting durante l’Academy Award PartyAnche lo stesso Robert Plant, in una intervista molto cliccata in rete ha scherzato sull’accostamento della band statunitense con Led, lasciando intendere un certo apprezzamento: “C’è una band chiamata Greta Van Fleet, sono i Led Zeppelin I – ha detto – hanno questo meraviglioso giovane cantante, molto forte.. lo odio! Ha preso in prestito la voce da qualcuno che conosco molto bene, ma che cosa ha intenzione di fare? Almeno ha un po’ di stile, perché ha detto che ha basato tutto il suo stile sugli Aerosmith”.

Al di là delle opinioni espresse da cantanti di gran successo, vale comunque la pena fare alcune considerazioni derivanti dall’ascolto dei GVF.Sono senza dubbio un gruppo formato da giovanissimi, tuttavia a questo non corrisponde una produzione acerba e prevalentemente spontanea.

Il merito di ciò (se di merito trattasi), va probabilmente attribuito al lavoro che sulla band ha svolto Al Sutton, produttore d’esperienza con all’attivo numerose collaborazioni importanti e che, intuite le potenzialità di Kiszka & Co., ha fatto lavorare il gruppo in studio per più di due anni al fine di ottenere un EP pronto per una major;Sono bravi, molto. Si può stare a dire quanto si vuole che si ispirano (per chi gli vuole bene) o scimmiottano (per gli altri) i Led Zeppelin, come se peraltro farlo rimanendo credibili fosse una cosa facile o banale.

La realtà è che, pur volendo aderire alla tesi dei “copiatori”, suonare come i Led, cantare come i Led, creare quel sound bisogna saperci decisamente fare.

Sono al primo lavoro in studio ed è ancora presto per capire come evolverà il loro suono o il loro modo di comporre ma è fin troppo noto quanto sia stretto lo spazio in cui un gruppo debba muoversi per replicare un successo precedente, sempre col rischio di essere giudicati ripetitivi da un lato e con quello di discostarsi troppo dal sound che lo contraddistingua dall’altro.

Di certo ad oggi hanno dimostrato di sapersi districare in una forma autentica di rock che, oltre ai citati Led Zeppelin, richiama da vicino altri grandi del genere come Who e Aerosmith, fatto di riff graffianti ma anche di ballad di cui, in tutta onestà, non esistono ad oggi numerosissimi esempi fra le band emergenti.Assomigliano ai Led Zeppelin? Per adesso indubbiamente sì.

Dubito comunque che, se qualcuno avesse chiesto in anticipo se sarebbe stata una bella sorpresa o meno scoprire una nuova band che ricordi così da vicino Plant e compagni, in molti avrebbero risposto con uno sdegnato diniego.Tutto ciò a maggior ragione se confrontiamo i Greta Van Fleet con ciò che offre il panorama nostrano, in cui spesso e volentieri le major raccattano gruppi dai reality (cosa che di per se non sarebbe neanche un problema se poi alla base ci fosse la qualità), e dove band come i Maneskin vengono dipinti come “geniali ed innovativi”.

A questo punto, a mio modestissimo avviso, Greta Van Fleet tutta la vita, nella speranza che questo sia solo l’inizio e che il successo non li faccia smarrire come troppo spesso accade quando arriva repentinamente.

CON UNA SERATA MAGICA I PEARL JAM CHIUDONO A ROMA LE TAPPE ITALIANE DEL TOUR 2018

DI ALBERTO EVANGELISTI

Con quello di ieri sera allo Stadio Olimpico, dopo i concerti di Milano e Padova, si chiudono le tre tappe italiane del tour 2018 dei Pearl Jam.
Inutile dire che l’attesa era molta, per più di un motivo: Eddie e compagni infatti non suonavano in Italia da 4 anni, e a Roma da ben 22, in quello che rimase uno dei concerti più iconici del Grunge anni 90, definito dallo stesso frontman dei Pearl Jam ieri sera durante lo show, come uno dei più importanti della sua carriera.
C’era poi una grande attesa di vedere la prestazione del gruppo dopo l’annullamento della data londinese a causa della perdita di voce di Eddie Vedder e le condizioni ancora precarie di Milano.
Quando si parla dei Pearl Jam però, c’è sempre qualcosa di più: una sorta di catarsi collettiva di un popolo che, insieme, fan dei primi anni novanta e nuovi, ciascuno a proprio modo e con le proprie aspettative, partecipa agli eventi con trasporto e ritualità, trasformando di volta in volta lo stadio o il palazzetto di turno in un tempio.
Molte facce sono familiari, fan che si rivedono, concerto dopo concerto, o che si tengono in contatto tramite l’uso di social come il gruppo Facebook “Pearl Jam Italia”, piazza virtuale di confronto e, talvolta, di sano scontro sul mondo targato Pearl Jam.
Per tutti loro la giornata inizia molto presto, con l’apertura dei cancelli alle quattro passate dopo che, in molti casi, erano in fila già da ore, per una attesa impaziente che si protrarrà, in una giornata di intenso caldo estivo, fino alle 21.20 quando, finalmente, il concerto inizia.
C’è sempre un’aria particolare ad un concerto dei Pearl Jam. Probabilmente dipende anche dal fatto che, negli anni, Mother Love Bone, Nirvana, Stone Temple Pilot e da ultimo i Soundgarden con la morte di Chris Cornell avvenuta poco più di un anno fa, praticamente tutti i principali attori del Seattle Sound sono stati colpiti dalla stessa sorte maledetta, così che i Pearl Jam sono, di fatto, gli ultimi superstiti di un mondo, quello del Grunge, che ha rappresentato (e rappresenta) per una generazione la risposta ad un profondo disagio, probabilmente mai realmente elaborato, e che ha pagato a caro prezzo questo ruolo.

Inizia il concerto e Eddie c’è, e si vede subito. Si parte con il classico Realese con cui si appassiona immediatamente il pubblico che, nel crescendo della canzone, canta il pezzo a squarcia gola.
Da quel momento inizia un susseguirsi di tre ore piene di concerto, con una alternanza ottimamente dosata di momenti riflessivi, quasi intimistici, ad altri decisamente energici ed aggressivi Il tutto sapientemente costruito con una scaletta ben equilibrata, formata da pezzi vecchi adorati dal pubblico, spesso tratti da “Ten” (ma personalmente non posso citare State of Love and Trust ), a pezzi più nuovi come Lightning Bolt o l’ultimo singolo Can’t Deny Me e cover, fra le quali sono spiccate Imagine (J Lennon), Comfortably Numb (Pink Floyd) e la classica chiusura con Rockin’ in a free world (N. Young).
Il pubblico ha tutto ciò che cerca, dalle immancabli Black e Alive nei bis, Jeremy, Given to Fly e Even Flow, che hanno letteralmente fatto esplodere lo stadio.

La voce di Eddie tiene bene e lui conferma di essere realmente unico nell’ammaliare il suo pubblico, nello spingerlo a cantare, saltare, urlare per tutte le tre ore di concerto.
Ma c’è di più. Certo il ruolo fondamentale di Eddie nelle dinamiche è fuori discussione, ma i Pearl Jam, nel loro complesso, sono ormai un gruppo maturo, che ha trovato decisamente equilibrio e consapevolezza delle proprie capacità, anche tecniche; che vive bene il proprio ruolo. E questa forse è un’altra delle attese che in molti avevano da questo tour: lo scorso anno Eddie Vedder si era presentato a Firenze da solista, incantando letteralmente i 60.000 del Firenzerock, riuscendo a trasformare un evento da festival in qualcosa di intimo e speciale. Ma chi ha assistito ad entrambi gli eventi non dovrebbe avere dubbi: I Pearl Jam sono altro, sono di più, danno allo stesso Eddie Vedder un valore aggiunto, una sinergia unica che sarebbe impossibile da ottenere senza la parte ritmica di Matt Cameron e Jeff Ament, senza la bravura di Mike McCready (a mio avviso stupendo nella cover di Comfortably Numb) e di Stone Gossard.
La musica dei Pearl Jam, così come la band, vuole anche dare messaggi che vadano al di la del mero spettacolo. I Pearl Jam del resto non si sono mai fatti problemi ad esporsi e prendere posizione su questioni sociali e politiche. Il concerto di Roma non ha fatto eccezione: prima con un messaggio lanciato introducendo Imagine:”nel nostro paese stanno accadendo cose che lo rendono diverso da come lo abbiamo lasciato qualche settimana fa”- con un chiaro riferimento alla questione dei c.d. bambini in gabbia e a Trump – “non smettiamo di lottare per la pace, dipende da tutti noi”. Poco dopo Eddie ha mostrato e indossato a mò di mantello, una bandiera datagli dal pubblico con su la scritta “Fuck Trump, love life”, in fine facendo comparire sui maxi schermi l’astag #apriteiporti.
Alla fine della serata il rito è compiuto; Ciascuno, pubblico e band, se ne va avendo ottenuto ciò che voleva e, cosa più importante, ciò di cui avevano bisogno, stremato ma rasserenato, con la speranza lasciata dal saluto finale della band all’ Olimpico :”forse ci rivedremo l’anno prossimo”.

La scaletta della serata
Release
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Interstellar Overdrive
Corduroy
Why Go
Do the Evolution
Pilate
Given to Fly
Even Flow
Wasted Reprise
Wishlist
Lightning Bolt
Again Today
Untitled
MFC
Immortality
Unthought Known
Eruption
Can’t Deny Me
Mankind
Animal
Lukin
Porch
Encore:
Sleeping by Myself
Just Breathe
Imagine
Daughter
Encore:
State of Love and Trust
Black Diamond
Jeremy
Better Man
Encore:
Comfortably Numb
Black
Rearviewmirror
Alive
Rockin’ in the Free World

Foo Fighters “Concrete and gold”: The new work of Dave & Co.

The premise is a must: from my point of view, you can not don’t love Grohl & Co. If we think of a band that best represents the “good side” of rock, no one is more familiar with the Foo Fighters and countless anecdotes that surround them: from the concert ended with the legged leg after Dave had just fractured it, to the video response sent to Rockin’1000 guys to say they would, would have played in Cesena (!), so much from ” deserve “the creation of a Facebook group as” Foo Fighters do good things “. In short, if you do not love them you have something perky inside.

All this to say that if you expect stylistic criticisms of the new poet’s work also stop reading.

Okay, someone can say that the new album does not say much again, which is a constant repeat of cliché already consolidated; for some, there may be a tendency to “push” excessively in some songs, so as to give a non-genuine roughness; for others, the exact opposite of the critics might prevail, motivated by the desire to hear a badger album and less lean on rhythmic ballads.

Forget about all these unhealthy ideas: in the bottom, if you like Foo you know them and you know what to expect.

Concrete and gold is exactly what you can and should expect from them: a mix of catchy songs, each with their own “hard” moment, just to remember that although there is really nothing more to prove, the guys love it to push and know how to do it.

If with Sonic Highways you are faced with a more sophisticated work, a concept album that tells the story of a journey through music made in the USA, the latest FF work is more straightforward and immediate: a succession of pieces with which the fan is immediately in full confidence, without having the discomfort of the already felt: grunge-lenses, power chords, acoustic ballads and many good Dave screams that they do not spare at all.

The album opens with T-Shirt, a short introduction that immediately gives a clear idea of what to expect in the next few minutes of listening: soft and light start, Dave and acoustic guitar, choral opening and empathy and riffs that are well in mind group lovers.

Run, the first single released by the new and the ninth job is another great synthesis of these features: a pleasantly harmonious intro that almost immediately comes out in riffs that are growing and rough and quite a bit of Dave’s mouth that in some respects seems to be the frontman of one band metalcore.

Even in La Dee From the FF they had a chance to put in a bit of healthy badness, aiming at simple, but riffy and powerful riffs by playing some bad guys.

The next song, Dirty Water, instead has an initial approach completely opposed to the first part of the piece featuring almost an excess of “sweetness”, enhanced by light feminine choruses that point almost to a cool blue lagoon, and then turn into a riff pushed and in steady acceleration and tone up.

Happy Ever After is the acoustic, light and harmonic ballad, with a “sorbet” effect, to take a moment of relaxation before proceeding with the end of the album.

Concrete and Gold, evidently from the name of the album, concludes the album with a slow, somewhat melancholy piece. The gloomy intro opens up on a choral side, but never explodes and leaves the listener with a pinch of honey.

Why listen to him? because they are the Foo Fighters, all in all: with their sounds, their lyrics at times reflexive, ironically and desiccating, with the obvious desire to play and the fun to do so.

Why not listen to it? I do not know…

ps

I bought it on Amazon so that the MP3 format is available immediately before delivery. because traveling a lot can be useful

Foo Fighters Concrete and Gold: ascolto del nono lavoro di Dave & C.

La premessa è d’obbligo: dal mio punto di vista non si può non amare Grohl & Co. Al momento se pensiamo ad una band che rappresenti al meglio il “lato buono” del rock, nessuno è più indicato dei Foo Fighters e gli innumerevoli aneddoti che li circondano: dal concerto terminato con la gamba ingessata dopo che Dave se l’era appena fratturata, alla risposta video mandata ai ragazzi del Rockin’1000 per dire che si, sarebbero venuti a suonare a Cesena (!),  tanto da “meritarsi” la creazione di un gruppo Facebook come “i Foo Fighters fanno cose buone”. Insomma, se non li ami hai qualcosa di perfido inside. 

Tutto ciò per dire che se vi aspetate critiche stilisttiche al nuovo lavoro poete anche smettere la lettura.

Ok, qualcuno può dire che il nuovo album in fondo non dice molto di nuovo, che è una costante ripetizione di cliché gia consolidati; per alcuni ci potrà esssere una tendenza a “spingere” eccessivamente in alcuni brani, così da dare una ruvidità non genuina; per altri potrebbe prevalere la critica esattamente opposta, motivata dal desiderio di sentire un album piu cattivello e meno appoggiato su ritmiche da ballad.

Dimenticatevi di tutte queste malsane idee: in fondo se vi piacciono i Foo li conoscete e sapete cosa aspettarvi.

Concrete and gold è esattamente ciò che ci si può e ci si deve aspettare da loro: un mix di brani orecchiabili, ciascuno con il proprio momento “hard”, giusto a ricordare che, pur non avendo realmente nulla più da dimostrare, i ragazzi amano spingere e lo sanno fare.

Se con Sonic Highways ci si trova di fronte ad un lavoro più ricercato, ad un concept album che racconta la storia di un viaggio attraverso la musica made in U.S.A, l’ultimo lavoro dei FF è più lineare ed immediato: un susseguirsi di pezzi con cui il fan si trova fin da subito in piena confidenza, senza però avere il fastidio del già sentito: lentoni dal forte sapore grunge, power chords, ballad acustica e molte urla del buon Dave che non si risparmia affatto.

L’album si apre con T-Shirt, breve intro che da subito una idea ben chiara di cosa aspettarsi nei successivi minuti di ascolto: partenza soffice e leggera, Dave e chitarra acustica, apertura corale ed empatica e riff che sono ben in mente agli amanti del gruppo.

Run, primo singolo uscito dal nuovo e nono lavoro, è un’altra ottima sintesi di queste caratteristiche: intro piacevolmente armonico che sfocia quasi subito in riff crescenti e ruvidi e un bel po di ugola di Dave che in alcuni tratti sembra il frontman di unauna band metalcore.

Anche in La Dee Da  i FF si siano divertiti ad inserire un po di sana cattiveria, puntando su riff semplici ma ruvidi e potenti giocando a fare un pò i cattivi.

Il brano successivo, Dirty Water, ha invece un approccio iniziale completamente opposto con la prima parte del pezzo caratterizzto quasi da un eccesso di “dolcezza”, acutizzata da cori femminili  leggeri che rimandano quasi ad una fresca laguna blu, per poi sfociare in un riff spinto ed in una costante accelerazione e salita di tono.

Happy Ever After è la ballad acustica, leggera e armonica, ad effetto “sorbetto”, per prendersi un momento di relax prima di proseguire con la fine dell’album.

Concrete and Gold, traccia che evidentemente da il nome all’album, conclude l’album con un pezzo lento, un po malinconico. L’intro un po cupo apre su una parte corale, senza però mai esplodere e lasciando l’ascoltatore con un pizzico di magone.

Perché ascoltarlo? perchè sono i Foo Fighters, in tutto: con le loro sonorità, i loro testi a tratti riflessivi a tratti ironici e dissacranti, con l’evidente voglia di suonare ed il divertimento nel farlo.

Perché non ascoltarlo? non saprei…

ps

io l’ho acquistato su Amazon così da avere il formato MP3 immediatamente a disposizione ancor prima della consegna. per chi viaggia molto può essere utile

 

 

Say hello to heaven Chris Cornell

Aprire distrattamente il cellulare e leggere una notizia che non ti aspettavi, che non avresti mai voluto leggere: anche Chris Cornell ci ha lasciati. Troppo presto.

Per chi, come me, nato alla fine degli anni ’70, era in piena adolescenza durante l’ esplosione del Grunge, questa non può essere una notizia come tante. Certo il Seattle sound ci ha abituati a piangere i suoi eroi, troppo spesso vissuti velocemente e morti velocemente, come tanti Achille del Rock.

Troppo spesso ci siamo consolati ascoltando i loro capolavori, o le canzoni dedicate da qualche super gruppo tributo, come i Temple of the Dog di cui ho avuto già modo di scrivere qui.

Chris non è il primo: fin dalle origini Andrew Wood, Kurt, Layne Staley, tutte stelle spente troppo presto. Ora ci ha lasciati una delle voci più belle e peculiari del Grunge e in generale del Rock, e con lui se n’è andato un altro pezzo della nostra adolescenza, dei nostri sogni, di noi:  ad esempio svanisce un po, diradandosi,  quella sera, passata a cantare con gli amici per strada, con una chitarra, discutendo di quale fosse il gruppo migliore, o quella volta in cui  per vedere un concerto abbiamo guidato tutta la notte o  dormito per terra alla stazione di Milano. Le birre con gli amici, il momento in cui ancora non avevi mai indossato una cravatta e l’unica seconda pelle che avevamo, al massimo, era un t-shirt con il sorriso ubriaco e la scritta Nirvana.

E mentre certe cose spariscono, altre si concretizzano: ora sai che non vedrai più quel concerto dei Temple of The Dog a cui tanto avresti voluto assistere, che non ci sarà più un nuovo albun dei Sound Garden che ti fa pensare che in fondo ancora spaccano.

Soprattutto ti rendi conto, una volta di più, che la vita alla fine è questo: pezzi del tuo passato che man mano ti lasciano segnando il conto dei tuoi giorni che passano.

Supereremo anche questa, con le cuffie per ascoltare quelle canzoni ancora una volta, con una chitarra o un basso per suonarle di nuovo, consumando i vinili, ricordando chi eravamo e chi, in fondo, un po siamo ancora. Perché alla fine, anche se tante cose ci abbandonano, qualcosa di loro rimarrà sempre in ciascuno di noi e sapere che quei frammenti esistono e accomunano tanti di noi, un po aiuta.

Chriss Cornell ha cantato una infinità di canzoni meravigliose, ma in questo momento mi sento di salutarlo con quella che lui scelse per salutare il sui amico Andrew.

Say Hello to Eaven, Chyris

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Eddie Veddere in concerto a Firenze il 24 giugno

Eddie Vedder sarà in concerto  in Italia a giugno. Il 24 a Firenze, alla Visarno Arena, all’Ippodromo del Visarno, all’interno di Firenze Rocks.

I biglietti saranno disponibili a partire dal 24 febbraio alle ore 11.00 tramite il circuito www.ticketone.it. E’ prevista una prevendita dedicata tramite l’app ufficiale di Firenze rocks dalle 10.00 di giovedì 23 febbraio alle 10.00 di venerdì 24. Non è invece prevista una prevendita dedicata ai fan Pearl jam iscritti al loro Ten Club.

rockol.it riporta la possibilità di una ulteriore data da confermare a Taormina.

Per l’occasione fiorentina si esibiranno prima del frontman dei Pearl Jam i The Cranberries di Dolores O’Riordan e Glen Hansard

Per info controlla il sito di Firenze Rock

 

 

 

Anteprima, Heavy il nuovo singolo dei Linkin Park

In anteprima, Heavy il nuovo singolo dei Linkin Park

Heavy è il primo singolo che anticipa l’uscita dell’album One More Light, prevista per il 19 maggio.

Al pezzo ha collaborato anche  Kiiara, pop cantautrice americana, ed è stato co-composto da Emily Wright.

Dall’ascoto in effetti le sonorità richiamano molto quelle pop e, a dispetto del titolo, tralasciano la parte più dura dei “vecchi” Linkin Park. Insomma il crossover con forti componenti metal di Hybrid Theory pare, almeno in questo singolo, molto distante.

One More Light conterrà  in tutto 10 pezzi

01. Nobody Can Save Me
02. Good Goodbye
03. Talking to Myself
04. Battle Symphony
05. Invisible
06. Heavy – By Linkin Park and Kiiara
07. Sorry for Now
08. Halfway Right
09. One More Light
10. Sharp Edges

 

 

 

Tutti (o quasi) migliori concerti Rock del 2017

pubblico_980x571Il 2017 si preannuncia un anno all’insegna dei concerti di livello (e dei conti in banca in rosso visti i costi dei biglietti). In ogni caso, si sa, le passioni costano tempo e denaro, ma spesso ne vale la pena, vediamo allora quali sono tutti (o quasi) migliori concerti Rock del 2017 con luoghi, date e costi del biglietto qualora ancora disponibile , della serie: concerti da paura e dove trovarli.

  • Doveroso iniziare dagli U2 e dal loro The Joshua Tree 2017 tour. Il concerto si annuncia un evento ed ilo faytto che sia dedicato ad uno dei loro più bei lavori lascia ben sperare. L’apertura sarà d’eccezione visto che Noel Gallagher e i suoi High Flyng Birds si esibiranno prima della band irlandese. Da pochi giorni è iniziata la prevendita per il fan club, e a breve inizierà la lotta per accaparrarsi un biglietto, con costi che andranno mediamente dagli 80 ai 300€ ( ad esclusione del 4° settore della curva Nord venduta a 40€ data la distanza siderale dal palco).
  • Per gli amanti del genere, i Kiss saranno in Italia per due date. Ammetto che non mi fanno impazzire ma i Kiss sono una fede più che un gruppo, quindi chi li ama lo fa senza se e senza ma. Verranno in italia il 15 maggio a Torino e il 16 maggio a Casalecchio sul Reno (BO). Biglietti ancora disponibili sull’immancabile Tiket One con prezzi da 74.75 € a 305 €.
  • Patti Smith: la sacerdotessa del rock non si discute, è un classico. Si esibirà a Roma il 13 maggio, biglietti da 37€
  •  Ottime date anche per l’ I-days 2017 di Monza. 15 giugno giornatona con Green Day e Rancid; 16 giugno Radiohead (e scusate se è poco!); 17 giugno Linkin Park e Blink 182. Biglietti disponibili da circa 60€ . Per la cronaca il 18 giugno si esibirà Justin Bieber, giusto per far capire quanto può essere pericoloso sbagliare giorno!

 

  • firenze-rockPrima edizione del Firenze Rock con pezzi da novanta. il 25 giugno si esibiranno i System of a Down ( biglietti a partire da 63 €– io il mio me lo sono già accaparrato); il giorno seguente sarà invece dedicato agli Aerosmith (biglietti ancora acquistabili a partire da 69 €).

 

  • Gli Evanescence toccheranno Milano il 4 luglio,  già sold out i biglietti da 46€, ancora disponibili quelli da 36,40€.
  • 3 date italiane invece per i Kasabian. I 4 di Leicester si esibiranno il 19 luglio a Taormina (biglietti disponibili a 46 €), il 21 a Roma e il 23 a Lucca; entrambe le date acquistabili a 35€.
  • Il reverendo Marilyn Manson incontrerà i suoi adepti per due date italiane, il 25 luglio a Roma ed il giorno successivo a Villafranca (VR). Biglietti disponibili on line a 43.70€.
  • Per gli amanti dei classici, immancabili le tre date italiane dei Deep Purple: 22 giugno a Roma, 26 a Bologna e 27 a Milano. Con una visitina su tiket one potrete acquistare il vostro biglietto a 51,75 €.
  • Due date italiane anche per i Red Hot Chili Peppers che saranno a Roma il 20 luglio e a Milano il 21. Anche per queste date i biglietti sono ancora disponibili al costo di 60€.
  • Come non parlare dell’evento dell’anno, la reunion che i fan aspettano da anni: i Guns N’ Roses in formazione completa toccheranno l’Italia per una unica ed imperdibile data il 10 giugno a Imola. I biglietti sono sold out già da tempo, ad eccezione del ” Gold Circle Welcome to the Jungle” ancora disponibile alla “modica cifra di 1004.50€ ! (certo i 4 e 50 potevano anche abbuonarli…). Del resto è probabile che sarà l’ultima occasione per vederli live per cui..un sacrificio va fatto…

Concludo con Peal Jam e Foo Fighters: Eddie Vedder e compagni erano gia attesi a Roma nell’estate del 2016. La data saltò all’ultimo momento, motivo per cui si attende una loro tappa italiana in questo 2017. Ad oggi però ci sono solo indiscrezioni di due possibili presenze a Torino e Bologna senza altri particolari. Se verranno è un biglietto che non mi farò sfuggire..vi terrò informati…. La band di Dave Grohl invece ha gia annunciato alcune date europee. Per adesso l’Italia non è stata illuminata ma la speranza di vedere qualche luce rossa sulla penisola rimane (chi volesse tenersi informato sulle date può farlo su loro personalissimo passaporto).

Buon concerto a tutti!

 

 

 

Arrivederci (speriamo) Rock TV

 

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Col nuovo anno è arrivata anche una brutta sorpresa: andando come al solito al 718 di Sky, ciò che appare non è esattamente ciò che mi aspettavo e insomma, l’amarezza assale e lo sconforto sale: c’è poco da girarci intorno, in italia i “luoghi del rock” non abbondano, anche quelli mediatici come i canali TV.I pochi che resistono, o sono essenzialmente locali o di nicchia (radio a diffusione poco più che cittadina, web radio), o sono espressioni di un mainstream che poco ha a che vedere con l’autenticità del Rock e che, nonostante tutto, ci dobbiamo far piacere per assenza di alternative.

Rock Tv in qualche modo per più di 15 anni è stata una eccezione, riuscendo ad unire la diffusione nazionale con una produzione autentica. Una TV essenzialmente fatta da appassionati e musicisti per appassionati e musicisti: Mario Riso, Pino Scotto, Alteria e tanti altri; programmi come Database, Crazy o Sala Prove, in cui gruppi italiani giovani hanno avuto la possibilità di farsi sentire e vedere dalle masse… insomma anni di Rock, quello conosciuto e amato, e quello italiano che tanta fatica fa a farsi scoprire ed uscire dall’ombra.

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Questo momento mi ricorda tanto il 31 maggio 2008 e la chiusura di Radio RockFM, la colonna dei miei studi universitari e dei primi anni di lavoro, programmi strepitosi, da Pane Burro e Rock’n Roll, a Crossover, passando per Hard & Eavy, condotti da speacker veramente bravi.

Certamente i protagonisti di RockFM, o almeno alcuni di loro, li possiamo ancora ascoltare in alcune web radio, e certamente speriamo di ritrovare i protagonisti di Rock TV su altre piattaforme. Pino Scotto annuncia prossime dirette su Facebook Live.

Vale comunque la pena chiedersi come mai il panorama italiano non riesca a far emergere e sostenere la scena Rock nazionale, come mai presto o tardi le piattaforme migliori si scontrano con problemi di produzione, di finanziamento, con incomprensioni editoriali, e finiscono per chiudere i battenti.

Per ora non resta che salutare affettuosamente tutto ciò che Rock TV è stata e ringraziare tutti coloro che, con il loro lavoro, negli anni hanno contribuito a farci affezionare a quel canale, nella speranza di rivedere presto le trasmissioni in una piattaforma importante.

Arrivederci Rock TV

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METALLICA: Hardwired to self-destruct

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L’album dei Metallica si compra! non importa quante delusioni siano arrivate dopo il Black Album (e per molto a partire proprio da quello), non importa quanto St Anger abbia demolito quel po di speranza che avevate in un ritorno ai vecchi splendori. E’ uno sforzo dovuto in onore ai bei tempi passati trascorsi con Hetfield & Co.

E’ più o meno con questo stato d’animo che mi sono approcciato all’ultimo lavoro della band che più di ogni altra ha forse influito nella diffusione del metal: con un po di speranza ma anche con la consapevolezza che probabilmente sarei rimasto deluso. Non importa, dopo St Anger non mi spaventa più nulla: i Metallica sono stati il mio primo concerto e la band che ho sentito più volte dal vivo, dovevo necessariamente prendere il loro nuovo lavoro.

Quello che mi trovo di fronte è un doppio cd da 12 tracce complessive e già questo da un lato mi fa piacere (più musica da sentire) e dall’altro mi inquieta un po: è difficile trovare doppi cd realmente ben fatti, nei quali almeno uno dei due non sia una mera raccolta di pezzi scartati in precedenza.Di doppi veramente belli su due piedi mi viene in mente giusto Mellon Collie and the Infinite Sadness e poco altro.

Inizio comunque a sentire l’album sforzandomi di essere neutro, di valutarlo come se fosse una CD di un gruppo qualsiasi, non dei Metallica, con tutto ciò che questo comporta circa aspettative e ricordi di lavori passati.

Intanto sono subito sollevato dal sentire che la batteria di Lars è accordata: subito il terrore del ricordo di certi “esperimenti” di S. Anger lascia la mia mente. Direi che il pericolo peggiore sia scampato.

In realtà l’album scorre bene, alternando riff tipici delle sonorità di Hetfield a parti un po più armoniche e agli assoli di Hammett in una sequenza che ricorda da vicino la costruzione che i loro brani avevano in passato; in effetti il primo CD sembra voler riportare le menti di chi ascolta alla fine degli ottanta, e l’effetto non dispiace.  Hardwired, Atlas,Rise! e le altre si lasciano ascoltare piacevolmente, anche se un tempo medio intorno ai 6 minuti a traccia non sempre è sfruttato al meglio e, talvolta, rischia di essere eccessivamente ripetitivo.

I richiami (o tributi…dipende come li si intende) ai loro lavori passati e ad altre band del panorama metal sono abbastanza evidenti: nel susseguirsi delle tracce si sentono chiare citazioni compositive a Ride the lightning, o Master of Puppets, ma anche accenni agli Iron e ai motorhead. Il CD 1 si chiude con Halo on Fire: cavalcata lunga (oltre 8 minuti) che alterna belle parti armoniche ad un chorus più aggressivo e urlato ed in cui sono incluse lunghe parti strumentali, a volte veramente belle.

Confusion, prima traccia del CD 2, pareva confermare i miei timori sugli album doppi, canzone un po lunga, forse troppo, soprattutto perché eccessivamente piatta e a tratti noiosetta. ManUNkind, traccia che segue è decisamente più interessante e varia ma nulla di cui esaltarsi. Con Here Comes Revenge si fa un salto dentro a Load da cui sembrano attingere a piene mani: la canzone è ben fatta ma non è questo che spero di sentire dai Metallica.

Am I Savage? Murder One (canzone dedicata alla memoria del compianto Lemmy) sono invece due pezzi ben costruiti, con riff e parti armoniche che si mixano bene e in cui anche gli assoli danno la loro soddisfazione. Il secondo CD si chiude con Spit Out The Bone, canzone che accelera molto rispetto alle precedenti, quasi a voler richiamare i bei tempi in cui i metallica erano LA band thrash metal per eccellenza; una accelerazione che ci sta e che personalmente apprezzo molto: qualcosa che dica, una volta siamo stati quelli di Kill em all e volendo lo siamo ancora.

Come dare un giudizio complessivo a questo lavoro? Ok, se ci mettiamo a fare il paragone con il passato,  hanno senz’altro prodotto di meglio (ma anche molto molto di peggio…se non si fosse capito St Anger ancora lo devo digerire). Forse però non è questo il modo di affrontare un nuovo album dei Metallica. Nulla che potranno mai fare potrà reggere il confronto con i primi lavori, sarebbe impossibile e, anche se nei CD ci sono molti riferimenti al passato, non può essere quello il termine di paragone. E’ un album che va valutato stand alone e, in quest’ottica è un buon album in cui tracce un po più banali si susseguono con pezzi onestamente belli. A volte forse si dubita della autenticità dei molti riferimenti al passato e alle altre band: sarà un po un pregiudizio che accompagna i metallica, ma l’idea che siano innesti fatti ad arte per tentare di rifidelizzare una parte di pubblico viene spontanea.

Nel complesso comunque una sorpresa piacevole e di buona qualità, a tratti veramente bello: un album che credo metterò fra quelli da ascoltare con una certa regolarità.