La volta che Janis Joplin diede il due di picche a Jim Morrison

Secondo quanto riportato nella biografia di Jim Morrison “Break On Through: The Life and Death of Jim Morrison”, ci sarebbe stato un “incontro” tra due mostri sacri del rock.

“L’incontro tra Jim e Janis Joplin è diventato leggendario. Paul Rotchild in quel periodo decise che Morrison e la Joplin dovessero conoscersi, e dal momento che lavorava con entrambi fece il possibile per farli incontrare. Successivamente descrisse l’episodio a Blair Jackson di Bam Magazine: ‘Ho pensato, sono il Re e la Regina del rock ‘n’ roll. Devono incontrarsi. Per cui ho dato loro appuntamento ad un party a Hidden Hills. Si sono presentati entrambi sobri, e hanno cominciato subito ad andare d’accordo. Jim era affascinato da questa strepitosa ragazza, e ovviamente anche Janis era rimasta colpita dall’innegabile fascino di Morrison.

In quel periodo Jim era ubriaco per la maggior parte del giorno, e così avvenne anche a quella festa. Cominciò a bere e il suo atteggiamento divenne rude, maleducato, quasi violento. Improvvisamente cominciò a comportarsi come un cretino, un “disgustoso” ubriaco. E Janis, che era una “affascinante” ubriaca, si stancò ben presto di lui. Beh, più Janis lo rifiutava, più Jim ci provava. Alla fine Janis si avvicinò, mi disse: andiamocene.. e andò verso l’auto.

Ma Jim non era intenzionato ad accettare un no come risposta, così quando Janis salì in macchina lui la afferrò per i capelli. Beh, Janis prese dal sedile di fianco una bottiglia di Southern Comfort, uscì furibonda dall’auto e gliela ruppe in testa. Poi gli urlò «Vaffanculo Jim Morrison, sai cosa ti dico? La musica dei Doors m’ha sempre fatto cagare!».

Il giorno dopo, incontrai Jim e mi disse: – Che donna straordinaria! Posso avere il suo numero di telefono?- Ho dovuto rispondergli che Janis non pensava che fosse una buona idea. Povero ragazzo, si era preso una bella cotta!”

Che gran coppia sarebbe stata…!almeno musicalmente…

Mad Season, il “supergruppo” Grunge

Quando si parla di “supergruppi” e di Grunge una menzione d’obbligo va fatta anche per i Mad Season.

Quell’alchimia particolare creata dall’incrocio fra un periodo, i primi anni novanta, ed una città, Seattle ha regalato alla storia del rock una delle sue espressioni più peculiari. Ok, che tenga particolarmente al Grunge ormai si è capito.

Non è però solo una questione musicale, di sonorità. Ciò che forse più di ogni altra cosa attrae del Seattle sound è l’atmosfera, il legame, quasi il senso di appartenenza dei musicisti che ne hanno determinato la storia e le fortune.

Forse proprio perché Seattle è una città abbastanza isolata, i gruppi ed i musicisti sono maturati in un ecosistema misto e chiuso, fatto di relazioni, di progetti condivisi e di “supergruppi”. Uno di cui vi ho già detto in questo post sono i Temple of the Dog. 

Altro esempio iconico è rappresentato dai Mad Season. 

Il tutto nasce, come spesso in storie come questa, dall’incontro casuale di due musicisti, tanto diversi nella storia personale, quanto simili nei tratti musicali che esprimono: Mike Mc Cready, chitarra solista nei Pearl Jam (si, quando c’è una bella storia di Grunge i Pearl Jam in qualche modo c’entrano sempre) e di un bassista allora semi-sconosciuto nativo di Chicago, John Philip Saunders.

L’incontro avviene in un centro per la riabilitazione di alcolisti e tossicodipendenti (anche questo non è esattamente un aspetto di novità nella storia del Rock) a Minneapolis, e quale miglior terapia che buttarsi in jam sessions improvvisate.

In breve venne coinvolto l’amico comune e membro di un’altro gruppo fondante del movimento di Seattle,  Layne Staley degli Alice in Chains. Ultimi ad essere inseriti nel progetto furono il batterista ed il leader  degli Screaming Trees , Barrett Martin e Mark Lanegan.

Il “supergruppo” venne da prima “ironicamente” (ma neanche troppo viste le abitudini dei membri) chiamato  Drugs Addicts And Alcoholics , quindi Gacey Bunch ed infine Mad Season. L’idea era quella di suonare un po in giro, specialmente nei locali della città, primo fra tutti il Crocodile Cafè, famoso locale gestito dalla moglie di Peter Buck dei R.e.m., senza il progetto concreto di trarne nulla di che, solo per il gusto di fare.

Ma eravamo già alla metà degli anni 90, il Grunge era esploso nel mondo e le case discografiche erano alla continua ricerca di nuovi progetti da sponsorizzare. Un gruppo formato da nomi come i componenti dei Mad Season non poteva certo sfuggire alle Major.  La  Columbia infatti offre loro un contratto per un disco, Above, che uscirà nell’aprile del 1995.

Il disco, la musica insieme, diventano così la terapia di gruppo in cui infilare tutte le contraddizioni e i fantasmi che li permeavano. La cosa è evidente già col primo singolo,  Wake Up, ballata lenta perfettamente armonizzata dalla peculiare voce di Layne Staley.

River of Deceit, traccia numero tre, è un’altra ballata di estrema bellezza e delicatezza, anche se infusa da un sottofondo di tristezza, quasi disperazione,  in cui il gruppo fonde la propria esperienza Grunge con i tratti tipici del rock anni 70.

La parte energetica dell’album è assicurata da tre pezzi in cui i tratti Grunge discendenti dall’hard rock sono più marcati : I’m Above, Artificial Red e Lifeless Dead. Quest’ultimo pezzo in particolare miscela un riff di memoria vagamente (neanche troppo)  “sabbathiana” ad una parte ritmica e lirica molto vicina agli esordi degli Alice.

I don’t know anything è un altro pezzo dai contorni tipicamente Grunge, fortemente caratterizzato dalla vocalità di Layne Staley e da una ritmica costante, quasi ipnotica.

Pezzo peculiarissimo invece è Long Gone Day. Ritmica morbida, assicurata da un giro di basso leggero ma persistente, xilofono e tonalità quasi caraibiche, il tutto in una lirica talvolta sussurrata, altre volte urlata, accompagnata da picchi di sax caldo.

Above, album caratterizzato da pezzi buoni, alcuni veri e propri capolavori, rimarrà purtroppo un’opera unica.

Da prima gli impegni dei vari componenti con i rispettivi gruppi di origine ha reso impossibile la prosecuzione dell’esperienza.

Baker morirà di overdose nel 1999 e a tre anni di distanza anche Staley lo seguirà. Tutti per colpa di quello stile di vita che, in fondo li ha da sempre accomunati e fatti incontrare, così che ciò che ha creato questo stupendo album, l’elemento catalizzatore di tutto, è anche il motivo ultimo per cui rimarrà unico.

Harrison, Clapton & Gently Weeps

Fra la fine dei 60’s e l’inizio dei 70’s ci sono una infinità di aneddoti e storie di Rock che vale la pena conoscere, fra queste quella su Harrison, Clapton & Gently Weeps.

Quella fra George Harrison ed Eric Clapton è forse una delle amicizie più significative della storia del rock di quel periodo, non soltanto perché i due erano decisamente punti di riferimento assoluto per l’ambiente e per i fans (visto che banalmente il primo era il chitarrista della band più influente di tutti i tempi ed al secondo venivano dedicate scritte del tipo “Clapton è Dio”), ma anche e soprattutto perché  la loro amicizia ha superato momenti che avrebbero messo a dura prova qualsiasi rapporto ed ha di fatto scritto la storia del Rock.

Famoso, e in qualche modo contornato da leggenda, è l’aneddoto che riguarda Pattie Boyd, moglie dello scarafaggio di cui però Clapton si innamorò perdutamente, ricambiato. Siamo nel 1974 quando Pattie lascia Harrison per Clapton; Ciò nonostante i due rimangono amici: leggenda vuole che in fondo essere lasciato per un chitarrista tanto bravo pesasse meno al Beatle.

Qui però siamo ancora nel 1968, i Beatles stanno incidendo il “White Album” e John e Paul si divertono a rivaleggiare nella composizione dei pezzi, rispondendo colpo su colpo. Registrano brani come “Happiness Is a Warm Gun”, la cui composizione complessa inserisce tre differenti melodie che vanno dal blus al rock in un unico brano.

Anche George ha composto un brano per l’album. L’ispirazione gli è venuta leggendo un libro di filosofia orientale, l’ I Ching: la visione del tutto collegato al tutto descritta nel testo in qualche modo lo spinge ad aprire un libro a caso ed iniziare a comporre partendo dalle prime due parole lette, appunto “gently weeps”.

Harrison crede molto nel pezzo ma la registrazione da fin da subito grossi problemi: incidono molte volte la traccia, senza che l’effetto sia quello sperato, iniziando per di più a creare malumori fra i 4.

Durante una pausa George si trova in macchina con l’amico Eric, proprio parlando di quanto la registrazione stia diventando problematica, quando…ecco l’idea: “hai la tua chitarra con te?” Domanda inutile, Eric aveva SEMPRE la propria Gibson con se. “ok, andiamo in studio e registra il pezzo con noi”.

La questione non è così semplice: chiunque frequenta i quattro di Liverpool conosce anche bene la loro regola. Mai far suonare estranei assieme a loro. Da qui l’iniziale esitazione di Clapton, presto vinta dall’amico. Che cavoli si tratta pur sempre di suonare coi Beatles!

Inutile dire che il contributo “divino” da i propri frutti, e Calapton improvvisa uno splendido assolo da inserire nel pezzo, che finalmente suona esattamente come Harrison lo ha  immaginato durante la scrittura.

Gli altri Beatles dichiararono in seguito che, nonostante la loro regola, l’intervento di Eric fosse servito a restituire serenità al gruppo. Di fatto però nei crediti ufficiali del White Album, manca la menzione di Clapton.

Ciò nonostante rimane una stupenda storia di Rock.

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1997:cosa accadeva 20 anni fa?

 

 

Stamani facciamo un gioco: torniamo indietro di 20 anni tondi tondi per ributtarci nel 1997: cosa accadeva esattamente 20 anni fa?

Tanto per immergersi nell’atmosfera, in quell’anno … Bill Clinton iniziava il proprio secondo mandato come POTUS, nasceva Google, nei cinema venivamo ammorbati dalle vicende di Jack e Rose durante l’affondamento del Titanic (e quel che è peggio dalla colonna sonora di quel film), la Juventus vinceva il 24° scudetto…io ero alle superiori…insomma volete mettere…

Il 97 però va ricordato anche per l’uscita di alcuni album decisamente significativi del panorama rock, in particolare grunge e alternative….facciamo una rapida carrellata (ovviamente del tutto personale).

I Radiohead facevano uscire il loro terzo album in studio, OK Computer, per molti il miglior loro album di sempre: un album particolare, certamente non semplice o immediato, stratificato in un certo senso. In ogni caso decisamente un capolavoro. L’album arriva al grande pubblico soprattutto grazie al video di Karma Police, presente in heavy rotation su MTV. Interessanti anche i video di No Surprises e Paranoid Android (il mio preferito).

I Foo Fighters uscivano con The Colour And The Shape. 2° lavoro della band di Dave Grohl da cui era già facile immaginare che razza di gruppo sarebbero diventati..cosa dire  di The Colour…bello, gran ritmo, canzoni che rimangono e video deliranti. Impossibile dire quale sia il pezzo migliore…solo per ricordare i più famosi citerei Monkey Wrench, My Hero, Walking After You, e Everlong.

I Whiskeytown  producevano Strangers Almanac, anche per loro 2° album. Ok, qui la domanda potrebbe essere… i Whiskeytown? In effetti la band del North Carolina non apparteneva certamente al mainstream italiano, ma il loro sound punk-country merita certamente un ascolto.

Come non citare gli Offspring e il loro quarto lavoro, Ixnay on the Hombre. Album decisamente bello, da sentire, da suonare, da risentire e, soprattutto pietra miliare di un genere; ritmi punk-rock che difficilmente stancano. Da mettere in macchina in loop!

Nel 1997 esordivano anche i Days Of The New, band statunitense di Charlestown, Indiana, di chiara influenza grunge. Anche in questo caso la diffusione in Italia è stata limitata ma chi si è appassionato particolarmente al Seattle Sound sicuramente sa di cosa parlo. Curiosità: i  Days Of The New, dotati di un certo senso dell’umorismo, hanno prodotto 3 album in studio, tutti chiamati appunto  Days Of The New, oltre ad un album live e ad una raccolta, anche queste chiamate  Days Of The New ( live Bootleg) e Days of the New: The Definitive Collection.ù

Nel 97 usciva anche il secondo album in studio per i Deftones, Around the Fur.  L’album è stato particolarmente apprezzato dalla critica, così come dai fan che lo considerano uno dei migliori lavori della band capostipite del Nu metal. Tratti più melodici del precedente lavoro, senza tuttavia perdere l’energia che caratterizzava il gruppo di Sacramento., caratteristiche perfettamente rappresentate dal singolo Be Quiet And Drive (Far Away)

 

Come non ricordare in fine il debutto dei Creed con il loro My Own Prison. Ok i Creed divdono abbastanza, o li ami o li odi. Io personalmente li amo;  amo il sound, le linee di basso, e la voce di Scott Stapp. Anche i Creed attingono a piene mani dal pozzo del Grunge, del resto come ogni band che iniziava a suonare negli States alla metà degli anni 90, rivisitando tuttavia lo stile con un suono più duro di derivazione metal.

Uscendo dal panorama statunitense, il 1997 è anche l’anno di uscita del terzo album degli Oasis: Be Here Now. Nella seconda metà dei 90, se gli Stati Uniti non possono non essere associati al Grunge, l’Europa è strettamente collegata all’alternative rock inglese, massimamente rappresentato dall’eterno dualismo Oasisi, Blur. La band di Manchester era attesa in maniera spasmodica dopo l’eclatante successo dei due primi lavori (Definitely Maybe e (what’s the story) Morning Glory?). Album più ricercato dei precedenti, ha decisamente convinto i fan giudicando le vendite; accolto con pareri alterni dalla critica. In ogni caso un’altra pietra miliare del genere.

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Parlando di alternative inglese e tormentoni MTV, come non ricordare Urban Hymns dei The verve e il peculiarissimo video di Bitter Sweet Symphony. Su, chi non ha provato (o immaginato di provare) a replicare la camminata a spallate  di Richard Ascroft ! Non il pezzo che amo di più in assoluto, ma certamente un must da citare.

L’elenco sarebbe ancora infinito e, mai come in questo caso, chi più ne ha più ne metta. Io concludo doverosamente con un gruppo sopra richiamato: i Blur che nel 1997 uscivano con il proprio disco omonimo. Il lavoro è apprezzabile dalla prima all’ultima traccia. Qui però, inevitabilmente, vorrei ricordare Song 2, non tanto e non solo perché singolo principale dell’album, ma per il richiamo esplicito (chiamiamolo omaggio se preferite) che il pezzo fa al Grunge e ai Nirvana. Serve altro?

Buon tuffo nei ricordi…ovviamente ogni altra segnalazione è graditissima…

Aggiunta doverosa e su richiesta…ma in Italia? ok ammetto che la musica nazionale non mi ha dato grandi soddisfazioni in quegli anni. Una eccezione però c’è: i Timoria che nel 97 hanno pubblicato il loro sesto album Eta Beta. Cosa dire, il piacere che provo anche oggi ad ascoltare i loro vecchi album è paragonabile solo alla tristezza che mi assale pensando al Renga attuale. In ogni caso Eta Beta è l’ultimo lavoro con la voce storica di Renga, certamente migliore di quella di Omar Pedrini …(un minuto di silenzio….”Angelo”? perchè?..ok ora mi riprendo)…Eta beta…dicevamo…un lavoro maturo, in cui i lati spinosi di 2020 si affiancano ad una discreta voglia di sperimentare e ad una ricerca armonica curata. Se riuscite a non farvi deprimere troppo dal risentire Renga cantare (veramente),  assolutamente da sentire

 

 

 

 

 

 

 

 

The Passenger (Iggy Pop): un viaggio e una storia d’amicizia

The Passenger di Iggy Pop non è solo una canzone, è un viaggio fatto di contrasti, di dicotomie; è anche la storia di una amicizia fra due artisti eccezionali: Iggy Pop e david Bowie. Un pezzo semplice in apparenza ma sempre più complesso man mano che lo si ascolta e lo si capisce.

Siamo nel 1977 quando esce Lust for Life, album fondamentale per Iggy Pop, non soltanto musicalmente: la sua vita scorre nel segno di una continua lotta fra la voglia di vivere e un irrefrenabile istinto autodistruttivo che lo porta alla dipendenza di eroina, barbiturici e Quaalude.

Nel 1977 però Iggy Pop ha già lasciato gli States per andare a vivere a Berlino assieme ad un personaggio fondamentale per la sua sopravvivenza: David Bowie.

L’Iguana e il Duca sono differenti in quasi tutto: Bowie molto più ricercato e sperimentatore, Iggy Pop diretto e distruttivo, punk ante litteram. Ma David ha deciso di prendersi cura dell’amico, conosciuto anni prima a New York, e nel farlo in fondo, oltre a salvare Iggy, salva anche un po se stesso.

Il periodo berlinese offre ai due cantanti occasione di enorme creatività e produttività, regalando alla storia del Rock album fondamentali, figli di un profondo cambiamento che entrambi stanno attraversando. Bowie, in cerca della maturità artistica definitiva, abbandona la vecchia immagine fatta di lustrini e paiettes. Iggy Pop dal canto suo deve superare la divisione dagli Stooges e viene convinto dall’amico al passo solista.

Il risultato sono due album che escono in un brevissimo lasso di tempo: The Idiot e, appunto Lust for Life . Quest’ultimo, dalle tonalità garage, viene ultimato in soli 8 giorni in cui la creatività dell’Iguana viene guidata dall’amico che partecipa in maniera attiva alla realizzazione dell’album (Iggy Pop ricambierà ai cori di Low)

E’ in questa atmosfera di creatività comune, di di sessioni ininterrotte in studio che nasce The Passenger.

Il testo di Iggy Pop parla di un viaggio, del contrasto fra la folla della città attorno e la solitudine dentro, di una vita che si ripete. Come detto, è una canzone dicotomica, in cui ad una apparente allegria si sostituisce una sensazione di inquietudine che si fa largo quando l’ascolto si fa attento.

Il brano sembra essenzialmente ripetitivo perché così sono le linee generali, in cui, tuttavia, si inseriscono leggere variazioni musicali e canore. Il bello in fondo è anche questo, ascolti aspettandoti qualcosa e arriva l’inatteso.

Quattro accordi che iniziano in levare e che si ripetono con la sola variazione dell’ultimo (Am-F-C-G /Am-F-C-E); una linea di basso che rimarca la ritmica distintamente.; un riff intuitivo e riconoscibilissimo, con note funky che accompagna la voce altrettanto riconoscibile dell’Iguana.

Sul ritornelli arriva la seconda voce, più acuta, di Bowie che impreziosisce il lavoro con i cori. Anche in questo, la canzone si ripete quasi uguale, pur con leggere variazioni che la rendono asimmetrica e stimolante: seconda strofa, Bowie raddoppia la voce di Pop sul “We’ll see the bright and hollow sky”. E’ un bell’effetto, e rimarrà unico visto che non ci saranno altri cori al di fuori dei ritornelli. Ascolti il pezzo e aspetti che la voce di Bowie raddoppi nuovamente in una strofa, succede anche alla centesima volta che ascolti: lo aspetti anche se sai perfettamente che non accadrà.

Questo è un pezzo che, nella apparente semplicità, ha l’incredibile caratteristica di non stancare mai; puoi metterlo in loop ed ascoltarlo senza sosta, non capiterà mai quella sensazione sgradevole che si ha quando un brano, anche di quelli che amiamo, è ormai andato in overexposure: sali in auto e lo fai partire, nulla di meglio come abbinamento.

Il pezzo verrà successivamente più volte coverizzato, per esempio nel 1987 da Siouxsie and the Banshees, ma personalmente amerò sempre il fascino profondo della versione originale.

Black Dog e la serata al Dinky

 

Molti ricordi della mia vita sono in qualche modo legati al rock. Del resto non potrebbe essere altrimenti visto che è una colonna sonora sempre presente nelle mie giornate.

C’è però una sera particolare che non scorderò mai, così come una canzone, involontaria colonna sonora di un istante che resterà sempre con me.

Nella vita ciò che fa la differenza sono gli amici, si sa, e la mia non fa certo eccezione.

Sono passati ormai diversi anni da quella sera; si parla di quella fase della vita che va dalla fine dei venti all’inizio dei trent’anni, in cui si è usciti dalle grandi compagnie, quelle in cui si è fatto insieme: cene tutti insieme, vacanze tutti insieme, serate ovunque tutti insieme…per capirsi, quelle in cui prenotare per venti persone è sempre un casino, soprattutto perché  la prima ora abbondante della serata va via a decidere cosa fare…e alla fine si va sempre nel solito posto.

Il lutto per la naturale morte per vecchiaia di questi maxi gruppi si metabolizza iniziando a vivere in gruppi più piccoli, quelli degli amici che poi ti rimarranno sempre; quelli con cui adesso sei riunito in qualche gruppo whatsapp dai nomi esplicitiin cui le foto di ragazze poco vestite si alternano a link di video musicali. Certo li vedi meno, certo le uscite sono sempre da contrattare con le fidanzate, e poi con le mogli, ma ogni tanto una serata si fa, di solito di giovedì…

Questa era una di quelle serate, una delle prime a dire il vero, un giovedì, quattro amici e un programma veramente minimal: una pizza e poi una birra al pub (tempo tecnico per decidere senza donne 4,5 secondi…qualche vantaggio il gruppo ridotto maschi lo ha..)

La serata scivola bene: Nicola fa sempre dei calzoni farciti all’inverosimile e mangiarli è una sfida alla quale nessuno si può sottrarre. Il posto è estremamente minimal, ma richiama comunque molte persone, quasi un must.

Per non smentirci la serata prosegue al Dinky: avete presente quei locali trend che nelle città di provincia tentano di richiamare le atmosfere delle metropoli internazionali o di Milano (arredamento laccato sul bicolore bianco nero, camerieri in camicia nera e cravatta rosa o celeste, cocktail colorati …) ? Perfetto il Dinky non c’entra nulla. Arredamento in legno, tavoli lunghi, spesso un po appiccicosi,  panche per sedersi, l’immancabile bersaglio per giocare a freccette ma soprattutto musica rock in sottofondo, un proprietario che di birra ne sa e parecchio e una vasta scelta da bere. Zero forma, tutta sostanza.

Inutile dire che alle ragazze quel posto piacesse poco, ma questa sera il problema non si pone.

Francesco è un po’ scocciato, ahimè per lui ha vinto il ruolo del bob e dovendo guidare il suo limite è una birra. Noi altri invece non abbiamo questo problema, e le pinte di blanche qua sono particolarmente buone. Poi c’è tanto di cui parlare, ciascuno ha una vita da raccontare, le nuove esperienze al lavoro, il prossimo concerto a cui andare…e non solo…oltre all’immancabile progetto per diventare ricchi. Ogni pinta in più  l’idea sembrava sempre più geniale  e la ricchezza a portata di mano.  Conquisteremo il mondo (magari producendo del buon rock!).

In sottofondo si alternano Oasis, Soundgarden, Led Zeppelin, Foo Fighters, ma è giovedì e arriva l’ora di andarsene. Anche perché una delle ragazze ci ha appena raggiunto ed ha convinto il buon Gio a farsi portare a casa da lei.

Alla fine rimaniamo io e Fra, il mio bob. Il pub è a non più di due km da casa mia, non un gran lavoro da tassista per questa sera. Saliamo sulla sua Honda jazz (la Honda Rock ha giurato che non la producessero, altrimenti la avrebbe presa..), mette in moto e via.

Ma cavolo, in macchina c’è un CD dei Led Zeppelin, la musica suona e casa mia è troppo vicina, in più è appena iniziata Black Dog. Beh in macchina di Fra la buona musica non manca mai. E’ deciso, si fa il “giro lungo”.

La voce acuta di Page si alternano ai riff di Plant e alla parte ritmica scandita da Jhon Paul Jones e Jason Bonham, e noi ci sovrapponiamo con le nostre chiacchere mentre giriamo per le strade di periferia della città prima di arrivare a casa mia.

E’ il minuto 2.04  della canzone, Plant ci va giù di riff , io lo imito con la voce simulando di suonare la chitarra meglio che in un air guitar show (lasciatemene la convinzione) e nel dondolare avanti indietro la testa sono chinato un po verso il basso.

All’improvviso con la coda dell’occhio a sinistra vedo una luce forte. E’ un attimo. Prima ancora di rendermi conto di cosa stia succedendo c’è l’urto. Vedo la scena al rallentatore: i vetri in frantumi, l’auto che si sposta lateralmente e inizia ad inclinarsi sul lato destro. Il rumore. La cosa che proprio rimane quando fai un incidente, che non riesci a spiegare è il rumore di quell’attimo.

Improvvisamente il leggero torpore dato dalle pinte di birra svanisce (miracoli dell’adrenalina), realizzo che abbiamo fatto un incidente e che la macchina si sta ribaltando. Cavolo, come è possibile, dovevamo fare solo 2 km in città!. Inizio a pensare a mille cose,  aspettando da un momento all’altro di sbattere da qualche parte, di sentire dolore.

Invece niente, l’auto si è finalmente fermata, messa in verticale, a coltello, appoggiata sul mio lato nell’asfalto. Balck Dog ancora suona nella radio ma non ho più tanta voglia di posticipare l’uscita dalla macchina per ascoltarla, in più realizzo in quel momento che l’auto ha un serbatoio di GPL.

“Fra, usciamo di qui!” Mi slaccio la cintura e nonostante i kg in più risalgo in verticale la macchina verso il finestrino lato guida esploso al momento dell’ urto. Arrivato ormai con il busto fuori sento Francesco dirmi che non riesce a staccare la cintura. Rientro dentro per aiutarlo ma intanto si è svicolato da solo. Ci ritroviamo contemporaneamente a passare dallo spazio di un finestrino…viste le nostre moli avrei potuto vedere la scena da fuori..deve essere stata ironica.

Saltiamo giù. Guardiamo la macchina, distrutta, che col  tetto ha buttato giù un pezzo di muretto in cemento di una abitazione.  I due ragazzi che ci hanno presi, fuori dalla loro audi che ci guardano sbiancati. Ci guardiamo a vicenda come in uno specchio, increduli di esserne usciti giusto con qualche livido. I led Zeppelin ancora risuonano da dentro la macchina, in un silenzio irreale.

Di li a poco le persone sarebbero uscite dalle case, sarebbe arrivata l’ambulanza e ci saremmo sorbiti una noiosa notte al pronto Soccorso.

In macchina di fra, quella nuova, c’è ancora il cd dei Led, e c’è anche ovviamente Black Dog, ma chissà perché ultimamente ci capita sempre di saltare quella canzone quando siamo insieme, anche se ancora oggi adoro quella canzone. Comunque, mai fare il giro lungo…