“Dai ascoltati i Maneskin, fanno ottimo Rock”…”possibile che tu non voglia ascoltare i maneskin? guarda che sono bravi ….poi con Marlena hanno tirato fuori un tormentone!”
Ultimamente il tono delle mie conversazioni sull’argomento Maneskin era piu o meno sempre questo, con l’unico vantaggio che ho finalmente scoperto il senso degli infiniti post che facevano riferimento a questa misteriosa Marlena…ed io che pensavo che fosse una mela (sic!).
Ok, alla fine mi sono fatto convincere ed ho ascoltato sti Maneskin, bene. Adeso però non rompetemi più le scatole: il mio dovere, quel minimo sindacale per non passare per uno che critica a oprescindere l’ho fatto. E non mi sono piaciuti.
Intanto, sono rock? Per me no. Certo, l’impronta se la sono voluta dare, ma per fare rock ed essere rock, non basta certo una sequenza di accordi, qualche distorsione e una finta aria da gruppo alternativ costruita a tavolino.
Per me (e ribadisco, è ma mia opinione personale) dire che i maneskin sono rock per un paio di riff in stile funk e per un cantante un po androgeno che ci butta su un po di voce graffiata, è un po come paragonare i tizzi di “Svalvolati on the road” con gli Hells Angels perchè si sono messi un giubbotto di pelle e sono saliti su una harley.
Ok, chiaramente in un paese in cui il mercato discografico ci ha abituati a premiare roba alla Tiziano Ferro, capisco che anche i Maneskin possano non sembrare poi così male. Francamente però, pur avendo provato ad ascoltarli non mi disocno nulla.
Le canzoni sono molto prevedibili: fanno un bel mix di un po di funk nei riff, linee di basso molto semplici e testi presi dalla fiera del banle. Tecnicamente magari non sono neanche male, almeno alcuni di loro, ma è tutto qui.
Certamente si sanno vendere bene e non voglio nemmeno dargli la colpa di essere usciti fuori da X Factor.
Del resto, se proprio vogliamo guardare ad X Factor, nella stessa edizione c’erano anche i Ros, un gruppo tecnicamente molto piu bravo e decisamente molto più rock che, meritaterebbe fortuna migliore.
Intendiamoci, i Maneskin stanno andando bene i Italia e ce ne faremo una ragione, tutti contenti per loro. Spiace solamente che girando per locali più o meno grandi si possano ascoltare dozzine di gruppi veramente bravi, veramente rock, che fanno fatica ad emergere, mentre questi passano per “il gruppo rock italiano”.
Ascoltatevi pure i Maneskin, quindi, ma non mi ropete più le scatole dicendomi che sono prevenuto e non li capisco, a me francamente se Marlene torna oppure no a casa non interessa niente.
PS
la cosa piu bella che ho ascoltato cercando i Maneskin è questo video su “come creare una canzone dei Maneskin” senza alcun talento…buona visione 😉
Altra tragedia nel mondo della musica rock; Chester Bennington, cantante dei Linkin Park si è tolto la vita.
Sei qui, di fronte al PC, e pensi se sia il caso di scrivere qualche riga il giorno in cui Chris Cornell avrebbe compiuto gli anni, valutando che forse è meglio evitare e lasciare che il lutto si riassorba da se, quando arriva l’ennesima mazzata alla quale non vuoi credere.
Questo annus horribilis (in realtà anni) della musica non accenna a finire sacrificando l’ennesima vittima sul proprio altare, un’altra vittima del cane nero della depressione.
Le circostanze della morte per quanto si sa, se possibile, sono ancora peggiori della notizia in se: Chester, caro amico di Chris, per il quale aveva cantato una commovente vesrione di Aleluia il giorno del funerale, il giorno in cui Chris avrebbe compiuto gli anni, si è tolto la vita impiccandosi come l’amico.
Incredulo, il pensiero va all’estate del 2001, Hybrid Theory era già uscita da qualche mese e, in giro per il mondo, discutevo con gli amici di questo nuovo gruppo, di quanto il il loro crossover fosse una novità significativa e piacevole; insomma quelle note finirono per essere la colonna sonora indimenticabile di una estate particolarissima.
Oggi, con questa notizia, un ulteriore pezzo dei miei, dei nostri ricordi, transita in un passato che, purtroppo, è sempre piu remoto, facendo apparire il tutto lontano e mai più afferrabile. L’ennesimo capitolo chiuso di una vita.
Passerà anche questa, supereremo l’ennesima brutta notizia, un po più tristi, ma sempre convinti che la musica, le sensazioni che ci ha dato e ci darà sempre, i ricordi che automaticamente accende nelle nostre menti, siano la sola via per la catarsi.
Prossima uscita di un nuovo lavoro per Caparezza: il 15 settembre è infatti stata annunciata l’uscita del suo nuovo album. Ad oggi ancora non sono noti particolari, ma c’è grande attesa fra i tanti che amano l’artista pugliese.
Oltre al nuovo lavoro Caparezza ha anche annunciato le date del tour 2017
CAPAREZZA TOUR 2017
17 novembre – Ancona
18 novembre – Bari
25 novembre – Bologna
28 novembre – Napoli
29 novembre – Roma
1 dicembre – Montichiari
2 dicembre – Padova
6 dicembre – Milano
7 dicembre – Torino
I biglietti saranno in vendita su Ticketone.it a partire dalle ore 10.00 di venerdì 12 maggio.
in attesa delle nuove canzoni un pezzo tratto dal vecchio lavoro
La tradizione del Rock indipendente romano offre, da sempre, numerosi spunti interessanti: recentemente vi ho parlato degli Acid Muffin; oggi vi presento un’altra realtà che senza dubbio merita di essere tenuta d’occhio: i WIR.
La band è attiva dal 2013 grazie ad una idea di Valentina Barletta, voce del gruppo, facendosi conoscere ed apprezzare sulla scena romana con numerosi live nei principali palcoscenici cittadini.
Recentemente hanno autoprodotto il loro primo EP, “Unusual Romance” ,con il quale intendono far conoscere le loro sonorità ben oltre raccordo.
Dalla nascita ,quasi come progetto solista di Valentina (da qui l’origine W.I.R. o woman in red), il progetto si è assestato sulla formazione attuale che vede, oltre a Valentina, Erica Cuda alla chitarra, Fulvio D’alessio al basso e Stefano Marabelli alla batteria (da qui la perdita dei punti e la trasformazione in WIR-dal tedesco pronome noi). Il “noi” con il quale i WIR si presentano emerge anche dai crediti dei loro lavori: testi e musica, nella loro interezza vengono attribuiti ai quattro membri.
Chi ha già avuto modo di leggere altri pezzi precedenti sa quanto apprezzi questa tipologia di formazione, essenziale e diretta, così come i suoni che necessariamente ne derivano.
In questo i WIR non deludono le aspettative ed il risultato, tanto nei live quanto nel lavoro in studio, risulta onesto e senza fronzoli, aspetto troppo spesso sottovalutato nelle produzioni recenti.
Gli arrangiamenti sono molto curati, così che le linee di basso di Fulvio si integrano molto bene con le ritmiche di Erica, a volte compensandole, altre volte rafforzandole. Il suono che ne deriva, pur nella essenzialità, emerge sempre pieno ed energico.
I differenti background dei WIR, che vanno dal blus al metal, passando per la new wave, danno al progetto una connotazione con differenti sfumature ben amalgamate, spesso riconoscibili anche all’interno del medesimo pezzo.
Il primo singolo tratto da Unusual Romance è “Borderline”, archetipo del messaggio che i WIR intendono lanciare con il loro progetto: il tema è quello dell’amore, visto però dalla differente prospettiva delle ferite che può lasciare, di quanto possa logorare e, a volte far perdere dignità, ma anche della volontà, nonostante tutto, di mettersi in gioco.
Il messaggio viene veicolato a volte con ritmi energici, più vicini all’hard rock , come appunto in “Borderline” e “Humanimals”, altre volte in maniera più malinconica e con ritmi più melodici vicini alla ballata; è questo il caso di “Hospital” o “1999”, in cui l’intro armonico lascia spazio a riff più aggressivi in un bel crescendo di energia.
In tutto ciò la voce di Valentina emerge sempre a proprio agio, tanto quando spinge e diventa graffiante, così come nei momenti più delicati in cui si propone quasi sussurrante, pienamente credibile anche nei testi in inglese che il gruppo propine.
Quindi, in conclusione, credo ci siano almeno due ottimi motivi per seguire i WIR e per tenerli d’occhio:
1) sono tecnicamente bravi, anche nei live. Sanno arrangiare bene, e sanno suonare, anche in versione unplugged. Curano molto il loro lavoro, in ogni aspetto, dalla produzione alla esecuzione. Questo,anzi questi, visto che in effetti sono già tre motivi distinti, direi sono i motivi fondamentali.
2) rappresentano un mondo, quello indie rock nostrano, che merita di essere coltivato e da cui dovremmo attingere sempre più spesso, unica realte alternativa al niente che emerge in Italia dei talent.
Stamani facciamo un gioco: torniamo indietro di 20 anni tondi tondi per ributtarci nel 1997: cosa accadeva esattamente 20 anni fa?
Tanto per immergersi nell’atmosfera, in quell’anno … Bill Clinton iniziava il proprio secondo mandato come POTUS, nasceva Google, nei cinema venivamo ammorbati dalle vicende di Jack e Rose durante l’affondamento del Titanic (e quel che è peggio dalla colonna sonora di quel film), la Juventus vinceva il 24° scudetto…io ero alle superiori…insomma volete mettere…
Il 97 però va ricordato anche per l’uscita di alcuni album decisamente significativi del panorama rock, in particolare grunge e alternative….facciamo una rapida carrellata (ovviamente del tutto personale).
I Radiohead facevano uscire il loro terzo album in studio, OK Computer, per molti il miglior loro album di sempre: un album particolare, certamente non semplice o immediato, stratificato in un certo senso. In ogni caso decisamente un capolavoro. L’album arriva al grande pubblico soprattutto grazie al video di Karma Police, presente in heavy rotation su MTV. Interessanti anche i video di No Surprises eParanoid Android (il mio preferito).
I Foo Fighters uscivano con The Colour And The Shape. 2° lavoro della band di Dave Grohl da cui era già facile immaginare che razza di gruppo sarebbero diventati..cosa dire di The Colour…bello, gran ritmo, canzoni che rimangono e video deliranti. Impossibile dire quale sia il pezzo migliore…solo per ricordare i più famosi citerei Monkey Wrench, My Hero, Walking After You, e Everlong.
I Whiskeytown producevano Strangers Almanac, anche per loro 2° album. Ok, qui la domanda potrebbe essere… i Whiskeytown? In effetti la band del North Carolina non apparteneva certamente al mainstream italiano, ma il loro sound punk-country merita certamente un ascolto.
Come non citare gli Offspring e il loro quarto lavoro, Ixnay on the Hombre. Album decisamente bello, da sentire, da suonare, da risentire e, soprattutto pietra miliare di un genere; ritmi punk-rock che difficilmente stancano. Da mettere in macchina in loop!
Nel 1997 esordivano anche i Days Of The New, band statunitense di Charlestown, Indiana, di chiara influenza grunge. Anche in questo caso la diffusione in Italia è stata limitata ma chi si è appassionato particolarmente al Seattle Sound sicuramente sa di cosa parlo. Curiosità: i Days Of The New, dotati di un certo senso dell’umorismo, hanno prodotto 3 album in studio, tutti chiamati appunto Days Of The New, oltre ad un album live e ad una raccolta, anche queste chiamate Days Of The New ( live Bootleg) e Days of the New: The Definitive Collection.ù
Nel 97 usciva anche il secondo album in studio per i Deftones, Around the Fur. L’album è stato particolarmente apprezzato dalla critica, così come dai fan che lo considerano uno dei migliori lavori della band capostipite del Nu metal. Tratti più melodici del precedente lavoro, senza tuttavia perdere l’energia che caratterizzava il gruppo di Sacramento., caratteristiche perfettamente rappresentate dal singolo Be Quiet And Drive (Far Away)
Come non ricordare in fine il debutto dei Creed con il loro My Own Prison. Ok i Creed divdono abbastanza, o li ami o li odi. Io personalmente li amo; amo il sound, le linee di basso, e la voce di Scott Stapp. Anche i Creed attingono a piene mani dal pozzo del Grunge, del resto come ogni band che iniziava a suonare negli States alla metà degli anni 90, rivisitando tuttavia lo stile con un suono più duro di derivazione metal.
Uscendo dal panorama statunitense, il 1997 è anche l’anno di uscita del terzo album degli Oasis: Be Here Now. Nella seconda metà dei 90, se gli Stati Uniti non possono non essere associati al Grunge, l’Europa è strettamente collegata all’alternative rock inglese, massimamente rappresentato dall’eterno dualismo Oasisi, Blur. La band di Manchester era attesa in maniera spasmodica dopo l’eclatante successo dei due primi lavori (Definitely Maybe e (what’s the story) MorningGlory?). Album più ricercato dei precedenti, ha decisamente convinto i fan giudicando le vendite; accolto con pareri alterni dalla critica. In ogni caso un’altra pietra miliare del genere.
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Parlando di alternative inglese e tormentoni MTV, come non ricordare Urban Hymns dei The verve e il peculiarissimo video di Bitter Sweet Symphony. Su, chi non ha provato (o immaginato di provare) a replicare la camminata a spallate di Richard Ascroft ! Non il pezzo che amo di più in assoluto, ma certamente un must da citare.
L’elenco sarebbe ancora infinito e, mai come in questo caso, chi più ne ha più ne metta. Io concludo doverosamente con un gruppo sopra richiamato: i Blur che nel 1997 uscivano con il proprio disco omonimo. Il lavoro è apprezzabile dalla prima all’ultima traccia. Qui però, inevitabilmente, vorrei ricordare Song 2, non tanto e non solo perché singolo principale dell’album, ma per il richiamo esplicito (chiamiamolo omaggio se preferite) che il pezzo fa al Grunge e ai Nirvana. Serve altro?
Buon tuffo nei ricordi…ovviamente ogni altra segnalazione è graditissima…
Aggiunta doverosa e su richiesta…ma in Italia? ok ammetto che la musica nazionale non mi ha dato grandi soddisfazioni in quegli anni. Una eccezione però c’è: i Timoria che nel 97 hanno pubblicato il loro sesto album Eta Beta. Cosa dire, il piacere che provo anche oggi ad ascoltare i loro vecchi album è paragonabile solo alla tristezza che mi assale pensando al Renga attuale. In ogni caso Eta Beta è l’ultimo lavoro con la voce storica di Renga, certamente migliore di quella di Omar Pedrini …(un minuto di silenzio….”Angelo”? perchè?..ok ora mi riprendo)…Eta beta…dicevamo…un lavoro maturo, in cui i lati spinosi di 2020 si affiancano ad una discreta voglia di sperimentare e ad una ricerca armonica curata. Se riuscite a non farvi deprimere troppo dal risentire Renga cantare (veramente), assolutamente da sentire
The Passenger di Iggy Pop non è solo una canzone, è un viaggio fatto di contrasti, di dicotomie; è anche la storia di una amicizia fra due artisti eccezionali: Iggy Pop e david Bowie. Un pezzo semplice in apparenza ma sempre più complesso man mano che lo si ascolta e lo si capisce.
Siamo nel 1977 quando esce Lust for Life, album fondamentale per Iggy Pop, non soltanto musicalmente: la sua vita scorre nel segno di una continua lotta fra la voglia di vivere e un irrefrenabile istinto autodistruttivo che lo porta alla dipendenza di eroina, barbiturici e Quaalude.
Nel 1977 però Iggy Pop ha già lasciato gli States per andare a vivere a Berlino assieme ad un personaggio fondamentale per la sua sopravvivenza: David Bowie.
L’Iguana e il Duca sono differenti in quasi tutto: Bowie molto più ricercato e sperimentatore, Iggy Pop diretto e distruttivo, punk ante litteram. Ma David ha deciso di prendersi cura dell’amico, conosciuto anni prima a New York, e nel farlo in fondo, oltre a salvare Iggy, salva anche un po se stesso.
Il periodo berlinese offre ai due cantanti occasione di enorme creatività e produttività, regalando alla storia del Rock album fondamentali, figli di un profondo cambiamento che entrambi stanno attraversando. Bowie, in cerca della maturità artistica definitiva, abbandona la vecchia immagine fatta di lustrini e paiettes. Iggy Pop dal canto suo deve superare la divisione dagli Stooges e viene convinto dall’amico al passo solista.
Il risultato sono due album che escono in un brevissimo lasso di tempo: The Idiot e, appunto Lust for Life . Quest’ultimo, dalle tonalità garage, viene ultimato in soli 8 giorni in cui la creatività dell’Iguana viene guidata dall’amico che partecipa in maniera attiva alla realizzazione dell’album (Iggy Pop ricambierà ai cori di Low)
E’ in questa atmosfera di creatività comune, di di sessioni ininterrotte in studio che nasce The Passenger.
Il testo di Iggy Pop parla di un viaggio, del contrasto fra la folla della città attorno e la solitudine dentro, di una vita che si ripete. Come detto, è una canzone dicotomica, in cui ad una apparente allegria si sostituisce una sensazione di inquietudine che si fa largo quando l’ascolto si fa attento.
Il brano sembra essenzialmente ripetitivo perché così sono le linee generali, in cui, tuttavia, si inseriscono leggere variazioni musicali e canore. Il bello in fondo è anche questo, ascolti aspettandoti qualcosa e arriva l’inatteso.
Quattro accordi che iniziano in levare e che si ripetono con la sola variazione dell’ultimo (Am-F-C-G /Am-F-C-E); una linea di basso che rimarca la ritmica distintamente.; un riff intuitivo e riconoscibilissimo, con note funky che accompagna la voce altrettanto riconoscibile dell’Iguana.
Sul ritornelli arriva la seconda voce, più acuta, di Bowie che impreziosisce il lavoro con i cori. Anche in questo, la canzone si ripete quasi uguale, pur con leggere variazioni che la rendono asimmetrica e stimolante: seconda strofa, Bowie raddoppia la voce di Pop sul “We’ll see the bright and hollow sky”. E’ un bell’effetto, e rimarrà unico visto che non ci saranno altri cori al di fuori dei ritornelli. Ascolti il pezzo e aspetti che la voce di Bowie raddoppi nuovamente in una strofa, succede anche alla centesima volta che ascolti: lo aspetti anche se sai perfettamente che non accadrà.
Questo è un pezzo che, nella apparente semplicità, ha l’incredibile caratteristica di non stancare mai; puoi metterlo in loop ed ascoltarlo senza sosta, non capiterà mai quella sensazione sgradevole che si ha quando un brano, anche di quelli che amiamo, è ormai andato in overexposure: sali in auto e lo fai partire, nulla di meglio come abbinamento.
Il pezzo verrà successivamente più volte coverizzato, per esempio nel 1987 da Siouxsie and the Banshees, ma personalmente amerò sempre il fascino profondo della versione originale.
Altra band italiana che personalmente amavo molto e che purtroppo si è sciolta in breve: due parole sui No More Speech (per la serie mai nà gioia…possibile che quei gruppi che ti danno una speranza in Italia durino sempre poco…?).
La prima volta che ho sentito i No More Speech, sarà stato il 2010, ero in casa, televisore acceso su Rock TV, e attenzione rivolta altrove…sentendo la canzone il primo pensiero fu che doveva trattarsi di un nuovo singolo dei Guano Apes (ma non si erano sciolti?). Le sonorità, anche vocali, parevano riconoscibilissime, anzi per certi versi migliorate. Adoravo i Guano Apes di Proud Like a God e Don’t Give Me Names ma sarei rimasto non pienamente convinto dal loro ritorno nel 2011.
Invece quella che stavo ascoltando era una band nuova, e per di più italiana! Grande..
In effetti il richiamo alla band tedesca di Sandra Nasic è qualcosa più che un sussurro: partendo dal nome (No More Speech richiama infatti NoSpeech dei Guano Apes), alla line essenziale, chitarra basso batteria, con suoni diretti, riff forti, linee di basso riconoscibilissime, il tutto catalizzato da una frontwoman energica e graffiante. In effetti Anche Alteria e Sandra si assomigliano molto, da un punto di vista vocale, nella fisicità e nel modo in cui riescono ad aggredire il palco.
Ma i No More Speach non sono un gruppo fotocopia: sanno scrivere, sanno stare sul palco, sono personali negli arrangiamenti. Insomma, ispirati da Sandra & Co. si, imitatori no.
Formatisi verso la metà dei 2000, i No More Speech si sono conquistati la prima vera notorietà fra appassionati con la partecipazione ad un contest di Rock Tv che gli ha permesso di suonare come opening all’ Heineken Jamming Festival del 2010. Nel 2012 esce il loro album di debutto, intitolato proprio No More Speech, trainato dai singoli Picture of Gold (con il quale avevano vinto il contes due anni prima) e Think Or Feel . Nel complesso un ottimo lavoro, ben prodotto, ben inserito nell’alveo della alternative e del cross over, sonorità energiche e testi diretti (scritti da Alteria); un cd da tenere in auto e ascoltare a volume ben alto. Tanto da giustificare critiche cariche di aspettative per i lavori futuri dei quattro milanesi.
Personalmente di quel lavoro adoro Bplan (traccia 5 dell’album): intro di basso bello pompante su cui si inserisce un riff di chitarra energico. La voce di Alteria alterna parlati veloci caratteristici a momenti più potenti sui toni alti e rapidi cambi di ritmica intervallati da brevi stop (e qui l’influenza dei Guano Apes in effetti si fa sentire); nel complesso il pezzo che vuoi sentire quando cerchi quel genere.
Anche se senza dubbio il merito della qualità complessiva del lavoro dipende dalla sinergia generata da tutti i membri (Tony Cordaro alla chitarra, Nando De Luca al basso e Roberto Fabiani alla batteria), indubbiamente Alteria costituiva l’elemento caratterizzante del gruppo e catalizzatore delle attenzioni esterne ai loro lavori, tanto da acquisire di fatto una notorietà autonoma, anche grazie alla partecipazione a progetti paralleli (come I Rezophonic ideati da Mario Riso) o alla conduzione di programmi radio e Tv.
La band si scioglie (ahimè prematuramente) nel 2013, lasciandoci comunque un album più che buono (che è molto di quanto abbiano fatto tanti altri gruppi in un lasso di tempo ben maggiore). Da allora Alteria ha intrapreso una carriera solista di tutto rispetto, alternando pezzi dalle sonorità fortemente contigue a quelle della sua vecchia band, con altri musicalmente più morbidi, in cui l’aspetto vocale divenisse quello preponderante.
In conclusione, sarebbe stato preferibile che avessero preso “meno alla lettera” il loro nome e avessero continuato a farsi sentire …