EDDIE VEDDER, cause world need heroes (scaletta ed emozioni del Concerto di Firenze)

Ci sono giornate no, dure da digerire come una scatola di chiodi, in cui ti senti fuori posto ovunque, in cui speri di no, ma dentro sai che hai fatto l’ennesima scelta sbagliata, sull’ennesima persona che ti ha lasciato di sasso.

E poi c’è la musica, potente catalizzatore di tutto il tuo mondo.

Andare ad un concerto di Eddie Veddere, che sia accompagnato dai suoi Pearl Jam o da solo, è sempre una emozione particolare perché, si sappia, Eddie Vedder non è un cantante: è un supereroe della Marvel, un Avanger col potere di farti credere che, forse, un mondo migliore ancora può esistere.

Prima del frontman dei PJ sale sul palco Glen Hansard, dublinese che, anche volendo, non sarebbe potuto essere più irlandese di così, sia nel fenotipo, che nelle atmosfere. Con lui i 50.000 dell’arena entrano in una atmosfera intimista, simile ad una serata in Temple Street. Ma è bravo e la gente lo segue, riscaldandosi per la portata principale.

Alle 22.45 (orario insolito…a quanto pare dovuto alla concomitanza del concerto con la festa patronale fiorentina….e quindi? mah!) finalmente sale sul palco Eddie Vedder. Personaggio complesso, anche lui ha i suoi fantasmi da portare dietro e lo fa caricando di passione e di emozione il concerto.

Il timore che rumoreggiava fra alcune nel pubblico, ossia che la formula in solitario chitarra e voce  si adattasse male al concerto da festival estivo e fosse da preferire in ambienti più ristretti, svanisce fin dalle prime note.

Sul palco c’ lui solo, le sue chitarre e la sua voce e l’effetto è estremamente coinvolgente. Sei li, in mezzo alla folla, ma hai quasi l’impressione di essere con un gruppo di amici e qualche birra in un prato, o in spiaggia: uno tira fuori la chitarra ed inizia  cantare e gli altri gli vanno dietro. Solo che qui l’amico che canta è Eddie e gli altri sono una folla oceanica che riempie l’arena.

La scaletta si regge principalmente su pezzi dei PJ, con l’innesto dei sui brani da solista, primi fra tutti quelli inseriti nella soundtrack di “Into the wild” di e alcune cover di Neil Young (fra cui l’immancabile Rockin’ in the free world), dei Pink Floyd (Brain damage e Comfortably numb) e una versione stupenda di Imagine di  John Lennon cantata assieme al pubblico.

Eddie ha alternato grande energia e situazioni quasi epiche (come quando è sceso fra il pubblico ed ha iniziato a cantare sorretto dalla folla) a momenti delicati, quasi commoventi. Senza dubbio uno di questi è stata la versione proposta di Black terminata sussurrando in ripetizione le parole “come back” e trattenendo a stento le lacrime, senza riuscire a ripetere per l’ultima volta le parole, generando una ondata di emozione generale.

Per gli ultimi pezzi risale sul palco Glen Hansard e insieme duettano in maniera estremamente coinvolgente.

E’ per questo che Eddie, in fondo, è un supereroe: quando canta trasmette empatia come pochi; sei in mezzo a decine di migliaia di persone ma ti senti ad un raduno fra pochi amici, ammesso per benevolenza alla setta dei poeti estinti, assapori i momenti di poesia in musica che offre. Ad un suo concerto salti, batti le mani, canti, tutto con la sensazione inspiegabile di essere speciale solo per il fatto di essere li; te ne vai con la consapevolezza che hai assistito a qualcosa di bello che scaverà ancora dentro di te.

Per fortuna ogni tanto si incrocia un eroe, e il mondo ne ha un gran bisogno.

 

SCALEETTA

  1. Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
  2. Wishlist
  3. Immortality
  4. Trouble (cover di Cat Stevens)
  5. Brain damage (cover dei Pink Floyd)
  6. Sometimes
  7. I am mine
  8. Can’t keep
  9. Sleeping by myself
  10. Setting forth
  11. Guaranteed
  12. Rise
  13. The needle and the damage done (cover di Neil Young
  14. Unthought known
  15. Black
  16. Porch
  17. Comfortably numb (cover dei Pink Floyd)
  18. Imagine (cover di John Lennon)
  19. Better man
  20. Last kiss (cover di Wayne Cochran)
  21. Falling slowly (cover degli Swell Season)
  22. Song of good hope (cover di Glen Hansard)
  23. Society (cover di Jerry Hannan)
  24. Smile
  25. Rockin’ in the free world (cover di Neil Young)
  26. Hard sun

Guns N’ Roses Tour 2017 “Not in this lifitime”: resoconto di un evento

Ok, quando è uscita la notizia di un Tour dei Guns in versione (praticamente) originale – il che significa Axel, Slash, Duff e Richard di nuovo insieme- eravamo tutti un po scettici sulla effettiva resa sul palco della band californiana, sensazione accreditata anche dalle ultime performace note di Axel, non esattamente all’altezza. Il rischio della operazione puramente commerciale incombeva concreto su tutti noi.

In ogni caso le premesse per un concerto evento c’erano tutte e diventava imperativo esserci: ero troppo piccolo per poter andare a Venezia a sentire i Pink Floid in quel loro concerto epocale ed ho sempre guardato un po di invidia coloro che, invece, possono dire “io c’ero”. Questa vola bisognava esserci, prescindendo da come avrebbero suonato.

Pre-ritrovo a Bologna la sera prima: un volo da Catania, un’altro da Milano, due macchine dalla Toscana e da Roma…lo sforzo logistico da l’idea delle aspettative che vengono riposte nel GNR’s day.

La giornata si preannuncia lunga, calda e il concerto una prova di resistenza fisica notevole (altro che Spartan). In arrivo una folla oceanica e volendo proprio essere onesti l’organizzazione qualche pecca la dimostra (senza dilungarmi cito giusto i famigerati token, una sorta di fiches che chi vuol provare a mangiare o bere qualcosa deve necessariamente acquistare-direi prossimi alla truffa legalizzata).

Quando ancora l’arena si sta riempiendo iniziano a suonare Phil Campbell and the Bastard Sons seguiti dai The Darkness  danno una prima scaldataal pubblico. Ottime performace entrambe, ma è chiaro che l’autodromo, ormai pieno come non lo avevo mai visto, aspetta la portata principale.

Sono ormai le nove passate quando iniziano a suonare i Guns ironicamente aperti dalla sigla dei Looney Tunes.

Il viso di Axel non promette nulla di buono: una maschera invecchiata male e corretta peggio chirurgicamente.

Ma la musica, quella è tutta un altra cosa, ed è anche l’unica cosa che conti. Iniziano a macinare pezzi con una qualità musicale e vocale impressionante; partenza con It’s so Easy: si sono loro,  la chitarra di Slash irrompe peculiare e riconoscibile e la voce di Axel si scalda dopo poche strofe e c’è in pieno.

Quasi subito dal palco arriva la domanda “do you know where you are” “you are in the jungle baby”. Parte il riff e il prato diventa una bolgia ingovernabile di corpi che saltano, spingono, ondeggiano spinti da altri 80 mila accanto a loro. (e qui spunta la domanda che arriva sempre a quel punto dei concerti..su chi me lo abbia fatto fare).

La  scaletta prosegue retta dalla ossatura di di Appetite For Destruction (8 brani dell’album fatti in totale), e i fan non possono che apprezzare: non manca nessuno dei pezzi fondamentali, da Civil War a Paradise City, passando per Knockin’ on Heaven’s Door, Sweet Child O’ Mine, Patience e Dont’ Cry. Tutte eseguite veramente bene con una resa davvero  coinvolgente e alcuni momenti letteralmente da pelle d’oca, come quando si accendono  le luci e Axel, seduto al piano, inizia a suonare November Rain. 

A queste condizioni si accetta benevolmente anche qualche intromissione da Chinese Democracy.

La marea umana presente ha saltato, ha cantato a squarciagola gran parte dei pezzi, come la cover strumentale di Wish you where here interamente sorretta vocalmente dal pubblico; ha applaudito la cover tributo di Black Hole Sun, il tutto per quasi tre ore di concerto devastante, in ogni senso. 

E alla fine anche quella domanda retorica che per un attimo si era fatta strada nella mente (su chi me lo avesse fatto fare), trova la sua risposta: non si è qui per sentire questa o quella canzone. Si è qui per tutta una vita. Per vivere un evento che ha coinvolto tre generazioni, magari con chi quella musica 20 anni fa con te la ascoltava o la suonava, o con chi ti sta accanto in questo momento; per una sorta di catarsi collettiva che parta dalla tua adolescenza e guardi al futuro. Ciascuno aveva il proprio motivo per esserci, l’importante era essere qui.

Sei qui anche perché, dopo la morte di Chris Cornell, ennesima botta ad un decennio fondamentale della tua vita, urge una rivincita. E i Guns, con un concerto così, quella rivincita la danno.

Insomma gente se c’eravate sapete di cosa parlo: ricordatevi con chi eravate, perché questo è un concerto che farà epoca e che, come pochi altri, dividerà in due fra chi c’era e chi no. Questa volta c’ero.

La scaletta del concerto riportata a questo link

PS. Non attaccate con cose del tipo Slash ha infilato un paio di stecche negli assoli di November Rain o Axel ha cantato qualche tono più basso….un evento del genere non si giudica da questo.