Black Dog e la serata al Dinky

 

Molti ricordi della mia vita sono in qualche modo legati al rock. Del resto non potrebbe essere altrimenti visto che è una colonna sonora sempre presente nelle mie giornate.

C’è però una sera particolare che non scorderò mai, così come una canzone, involontaria colonna sonora di un istante che resterà sempre con me.

Nella vita ciò che fa la differenza sono gli amici, si sa, e la mia non fa certo eccezione.

Sono passati ormai diversi anni da quella sera; si parla di quella fase della vita che va dalla fine dei venti all’inizio dei trent’anni, in cui si è usciti dalle grandi compagnie, quelle in cui si è fatto insieme: cene tutti insieme, vacanze tutti insieme, serate ovunque tutti insieme…per capirsi, quelle in cui prenotare per venti persone è sempre un casino, soprattutto perché  la prima ora abbondante della serata va via a decidere cosa fare…e alla fine si va sempre nel solito posto.

Il lutto per la naturale morte per vecchiaia di questi maxi gruppi si metabolizza iniziando a vivere in gruppi più piccoli, quelli degli amici che poi ti rimarranno sempre; quelli con cui adesso sei riunito in qualche gruppo whatsapp dai nomi esplicitiin cui le foto di ragazze poco vestite si alternano a link di video musicali. Certo li vedi meno, certo le uscite sono sempre da contrattare con le fidanzate, e poi con le mogli, ma ogni tanto una serata si fa, di solito di giovedì…

Questa era una di quelle serate, una delle prime a dire il vero, un giovedì, quattro amici e un programma veramente minimal: una pizza e poi una birra al pub (tempo tecnico per decidere senza donne 4,5 secondi…qualche vantaggio il gruppo ridotto maschi lo ha..)

La serata scivola bene: Nicola fa sempre dei calzoni farciti all’inverosimile e mangiarli è una sfida alla quale nessuno si può sottrarre. Il posto è estremamente minimal, ma richiama comunque molte persone, quasi un must.

Per non smentirci la serata prosegue al Dinky: avete presente quei locali trend che nelle città di provincia tentano di richiamare le atmosfere delle metropoli internazionali o di Milano (arredamento laccato sul bicolore bianco nero, camerieri in camicia nera e cravatta rosa o celeste, cocktail colorati …) ? Perfetto il Dinky non c’entra nulla. Arredamento in legno, tavoli lunghi, spesso un po appiccicosi,  panche per sedersi, l’immancabile bersaglio per giocare a freccette ma soprattutto musica rock in sottofondo, un proprietario che di birra ne sa e parecchio e una vasta scelta da bere. Zero forma, tutta sostanza.

Inutile dire che alle ragazze quel posto piacesse poco, ma questa sera il problema non si pone.

Francesco è un po’ scocciato, ahimè per lui ha vinto il ruolo del bob e dovendo guidare il suo limite è una birra. Noi altri invece non abbiamo questo problema, e le pinte di blanche qua sono particolarmente buone. Poi c’è tanto di cui parlare, ciascuno ha una vita da raccontare, le nuove esperienze al lavoro, il prossimo concerto a cui andare…e non solo…oltre all’immancabile progetto per diventare ricchi. Ogni pinta in più  l’idea sembrava sempre più geniale  e la ricchezza a portata di mano.  Conquisteremo il mondo (magari producendo del buon rock!).

In sottofondo si alternano Oasis, Soundgarden, Led Zeppelin, Foo Fighters, ma è giovedì e arriva l’ora di andarsene. Anche perché una delle ragazze ci ha appena raggiunto ed ha convinto il buon Gio a farsi portare a casa da lei.

Alla fine rimaniamo io e Fra, il mio bob. Il pub è a non più di due km da casa mia, non un gran lavoro da tassista per questa sera. Saliamo sulla sua Honda jazz (la Honda Rock ha giurato che non la producessero, altrimenti la avrebbe presa..), mette in moto e via.

Ma cavolo, in macchina c’è un CD dei Led Zeppelin, la musica suona e casa mia è troppo vicina, in più è appena iniziata Black Dog. Beh in macchina di Fra la buona musica non manca mai. E’ deciso, si fa il “giro lungo”.

La voce acuta di Page si alternano ai riff di Plant e alla parte ritmica scandita da Jhon Paul Jones e Jason Bonham, e noi ci sovrapponiamo con le nostre chiacchere mentre giriamo per le strade di periferia della città prima di arrivare a casa mia.

E’ il minuto 2.04  della canzone, Plant ci va giù di riff , io lo imito con la voce simulando di suonare la chitarra meglio che in un air guitar show (lasciatemene la convinzione) e nel dondolare avanti indietro la testa sono chinato un po verso il basso.

All’improvviso con la coda dell’occhio a sinistra vedo una luce forte. E’ un attimo. Prima ancora di rendermi conto di cosa stia succedendo c’è l’urto. Vedo la scena al rallentatore: i vetri in frantumi, l’auto che si sposta lateralmente e inizia ad inclinarsi sul lato destro. Il rumore. La cosa che proprio rimane quando fai un incidente, che non riesci a spiegare è il rumore di quell’attimo.

Improvvisamente il leggero torpore dato dalle pinte di birra svanisce (miracoli dell’adrenalina), realizzo che abbiamo fatto un incidente e che la macchina si sta ribaltando. Cavolo, come è possibile, dovevamo fare solo 2 km in città!. Inizio a pensare a mille cose,  aspettando da un momento all’altro di sbattere da qualche parte, di sentire dolore.

Invece niente, l’auto si è finalmente fermata, messa in verticale, a coltello, appoggiata sul mio lato nell’asfalto. Balck Dog ancora suona nella radio ma non ho più tanta voglia di posticipare l’uscita dalla macchina per ascoltarla, in più realizzo in quel momento che l’auto ha un serbatoio di GPL.

“Fra, usciamo di qui!” Mi slaccio la cintura e nonostante i kg in più risalgo in verticale la macchina verso il finestrino lato guida esploso al momento dell’ urto. Arrivato ormai con il busto fuori sento Francesco dirmi che non riesce a staccare la cintura. Rientro dentro per aiutarlo ma intanto si è svicolato da solo. Ci ritroviamo contemporaneamente a passare dallo spazio di un finestrino…viste le nostre moli avrei potuto vedere la scena da fuori..deve essere stata ironica.

Saltiamo giù. Guardiamo la macchina, distrutta, che col  tetto ha buttato giù un pezzo di muretto in cemento di una abitazione.  I due ragazzi che ci hanno presi, fuori dalla loro audi che ci guardano sbiancati. Ci guardiamo a vicenda come in uno specchio, increduli di esserne usciti giusto con qualche livido. I led Zeppelin ancora risuonano da dentro la macchina, in un silenzio irreale.

Di li a poco le persone sarebbero uscite dalle case, sarebbe arrivata l’ambulanza e ci saremmo sorbiti una noiosa notte al pronto Soccorso.

In macchina di fra, quella nuova, c’è ancora il cd dei Led, e c’è anche ovviamente Black Dog, ma chissà perché ultimamente ci capita sempre di saltare quella canzone quando siamo insieme, anche se ancora oggi adoro quella canzone. Comunque, mai fare il giro lungo…

 

Harder is better ovvero la mia classifica di cover rock e Metal

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Vorrei provare a divertirmi indicando la mia classifica di cover rock e Metal: le 10 cover che personalmente ho apprezzato. Spesso versioni Rock o Nu-metal di brani decisamente differenti, la cui trasformazione indurita è in grado di renderli decisamente più ascoltabili; in altri casi brani già belli che, in ogni caso, risultano valorizzati dalla versione coverizzata

Di cover è pieno il mondo, si sa. A volte esperimenti ben riusciti, talvolta tanto da rendere noti pezzi che fino a quel momento erano … diciamo di nicchia, altre volte vere e proprie catastrofi da far immediatamente spegnere la radio se mai capitasse di sentirle (eco, a proposito, con tutta la stima che si può avere Vasco, credo che l’unica cosa che possa suscitare la “sua” Ad ogni costo, cover di Creep dei Radiohead sia una domanda …pechè? il mondo proprio non ne aveva bisogno insomma) .

Ho evitato di inserire le molte cover tributo, per esempio di gruppi metal su altri pezzi metal (per esempio Trivium che coverizzano i Metallica o Machine Head gli Iron Maiden), cercando di concentrarmi solo su quei progetti che trasformano notevolmente il pezzo, spesso attingendo dal repertorio pop per trasformarlo in qualcosa di Rock-Metal.

Iniziamo.

10. Al decimo posto metto Mad World dei Tear for Fears nella versione resa famosa da Gary Jules come colonna sonora di Donny Darco.

Quest’ultimo brano in effetti non può dirsi una vera e propria cover Rock, ma onestamente tenerla fuori classifica mi sembrava impossibile.

9. Nono posto per Imagine.

Canzone ovviamente di John Lennon ma in questo caso nella versione dei A Perfet Circle. Sempre difficile buttarsi in una cover quando il pezzo originale è considerata una delle canzoni più influenti di sempre e l’autore un mostro sacro. Il risultato in ogni caso a me piace, soprattutto perché le armonie scelte riescono ad invertire completamente la sensazione che la canzone da a testo invariato: la versione di Jhon Lennon è una canzone positiva, di speranza. Questa invece ha una area più tetra, di rassegnazione in cui il distacco fra la realtà ed il voluto pare incolmabile. Bella.

8. Ottavo posto per King of Pain.

Pezzo dei Police coverizzato dai Mudvayne. I Police sono un gruppo che amo molto, ma ammetto che la versione proposta dal gruppo Nu-Metal statunitense spinge bene e non mi dispiace affatto.

7. Al settimo posto i Limp Bizkit con la cover di Faith.

Non me ne vogliano gli amanti di George Michael ma non riesco proprio a metterlo fra le cose che ascolterei. La Cover dei Limp invece si lascia sentire più che volentieri, prova che in fondo quasi ogni pezzo può diventare migliore…(quasi ho detto..)

6. Al sesto posto Land of Confusion nella versione dei Disturbed.

Originariamente dei Genesis, la versione dei Disturbed rende molto più energico il brano, senza però farne perdere la riconoscibilità, aspetto non secondario quando la cover si rifa a pezzi molto noti come in questo caso. Da inserire in playlist.

5. Al quinto posto Sweet Dreams, ovviamente nella versione del reverendo Manson.

C’è poco da dire: versione originale degli Eurythmics molto nota ed orecchiabile, ma quella di Marilyn Manson spacca.

4. Quarto posto per Smooth Criminal coverizzata dagli Alien Ant Farm.

Abbiate pazienza ma come George Michael, anche Michael Jackson lo reggo poco. Differentemente, amo questa versione Alternative Metal in cui riff di chitarra e basso danno al pezzo l’energia che nella versione originale manca, e non poco.

3. Terzo posto per i System of a Down e la loro versione di The Metro.

La versione originale era cantata da Berlin; non sapete chi sia? lo capisco…in ogni caso era diventata famosa alla fine degli anni 80 per aver cantato la colonna sonora di Top Gun (Take My Breath Away), poi sparita da tutti i radar. Anche la sua versione del pezzo non ha aggiunto nulla alla storia della musica. Il pezzo dei System invece va ascoltato.

2. Secondo posto per un altra cover derivante dal repertorio di George Michael: Careless Whisper, ovviamente fatta dai Seether.

Inutile ripetersi, non amavo particolarmente gli Wham! ma adoro questo pezzo, o meglio questa versione del pezzo che, credo, sia una delle migliori dimostrazioni come come dando ad un brano un po di carica in più non si possa che migliorarlo.

1. Al primo posto della mia personalissima classifica un’ altra cover di un pezzo dei Police: Message in a Bottle fatta dai Machine Head.

Il motivo è presto detto: ho già scritto che apprezzo i Police e in questo caso mi piace anche l’originale del brano (che peraltro è il primo pezzo in assoluto che ho suonato col basso…). I Machine Head per di più sono sempre devastanti e sono riusciti ad interpretare il pezzo in maniera incredibile. Immancabile in ogni raccolta, play list, CD che faccio.

Buon ascolto.

Tutti (o quasi) migliori concerti Rock del 2017

pubblico_980x571Il 2017 si preannuncia un anno all’insegna dei concerti di livello (e dei conti in banca in rosso visti i costi dei biglietti). In ogni caso, si sa, le passioni costano tempo e denaro, ma spesso ne vale la pena, vediamo allora quali sono tutti (o quasi) migliori concerti Rock del 2017 con luoghi, date e costi del biglietto qualora ancora disponibile , della serie: concerti da paura e dove trovarli.

  • Doveroso iniziare dagli U2 e dal loro The Joshua Tree 2017 tour. Il concerto si annuncia un evento ed ilo faytto che sia dedicato ad uno dei loro più bei lavori lascia ben sperare. L’apertura sarà d’eccezione visto che Noel Gallagher e i suoi High Flyng Birds si esibiranno prima della band irlandese. Da pochi giorni è iniziata la prevendita per il fan club, e a breve inizierà la lotta per accaparrarsi un biglietto, con costi che andranno mediamente dagli 80 ai 300€ ( ad esclusione del 4° settore della curva Nord venduta a 40€ data la distanza siderale dal palco).
  • Per gli amanti del genere, i Kiss saranno in Italia per due date. Ammetto che non mi fanno impazzire ma i Kiss sono una fede più che un gruppo, quindi chi li ama lo fa senza se e senza ma. Verranno in italia il 15 maggio a Torino e il 16 maggio a Casalecchio sul Reno (BO). Biglietti ancora disponibili sull’immancabile Tiket One con prezzi da 74.75 € a 305 €.
  • Patti Smith: la sacerdotessa del rock non si discute, è un classico. Si esibirà a Roma il 13 maggio, biglietti da 37€
  •  Ottime date anche per l’ I-days 2017 di Monza. 15 giugno giornatona con Green Day e Rancid; 16 giugno Radiohead (e scusate se è poco!); 17 giugno Linkin Park e Blink 182. Biglietti disponibili da circa 60€ . Per la cronaca il 18 giugno si esibirà Justin Bieber, giusto per far capire quanto può essere pericoloso sbagliare giorno!

 

  • firenze-rockPrima edizione del Firenze Rock con pezzi da novanta. il 25 giugno si esibiranno i System of a Down ( biglietti a partire da 63 €– io il mio me lo sono già accaparrato); il giorno seguente sarà invece dedicato agli Aerosmith (biglietti ancora acquistabili a partire da 69 €).

 

  • Gli Evanescence toccheranno Milano il 4 luglio,  già sold out i biglietti da 46€, ancora disponibili quelli da 36,40€.
  • 3 date italiane invece per i Kasabian. I 4 di Leicester si esibiranno il 19 luglio a Taormina (biglietti disponibili a 46 €), il 21 a Roma e il 23 a Lucca; entrambe le date acquistabili a 35€.
  • Il reverendo Marilyn Manson incontrerà i suoi adepti per due date italiane, il 25 luglio a Roma ed il giorno successivo a Villafranca (VR). Biglietti disponibili on line a 43.70€.
  • Per gli amanti dei classici, immancabili le tre date italiane dei Deep Purple: 22 giugno a Roma, 26 a Bologna e 27 a Milano. Con una visitina su tiket one potrete acquistare il vostro biglietto a 51,75 €.
  • Due date italiane anche per i Red Hot Chili Peppers che saranno a Roma il 20 luglio e a Milano il 21. Anche per queste date i biglietti sono ancora disponibili al costo di 60€.
  • Come non parlare dell’evento dell’anno, la reunion che i fan aspettano da anni: i Guns N’ Roses in formazione completa toccheranno l’Italia per una unica ed imperdibile data il 10 giugno a Imola. I biglietti sono sold out già da tempo, ad eccezione del ” Gold Circle Welcome to the Jungle” ancora disponibile alla “modica cifra di 1004.50€ ! (certo i 4 e 50 potevano anche abbuonarli…). Del resto è probabile che sarà l’ultima occasione per vederli live per cui..un sacrificio va fatto…

Concludo con Peal Jam e Foo Fighters: Eddie Vedder e compagni erano gia attesi a Roma nell’estate del 2016. La data saltò all’ultimo momento, motivo per cui si attende una loro tappa italiana in questo 2017. Ad oggi però ci sono solo indiscrezioni di due possibili presenze a Torino e Bologna senza altri particolari. Se verranno è un biglietto che non mi farò sfuggire..vi terrò informati…. La band di Dave Grohl invece ha gia annunciato alcune date europee. Per adesso l’Italia non è stata illuminata ma la speranza di vedere qualche luce rossa sulla penisola rimane (chi volesse tenersi informato sulle date può farlo su loro personalissimo passaporto).

Buon concerto a tutti!

 

 

 

Arrivederci (speriamo) Rock TV

 

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Col nuovo anno è arrivata anche una brutta sorpresa: andando come al solito al 718 di Sky, ciò che appare non è esattamente ciò che mi aspettavo e insomma, l’amarezza assale e lo sconforto sale: c’è poco da girarci intorno, in italia i “luoghi del rock” non abbondano, anche quelli mediatici come i canali TV.I pochi che resistono, o sono essenzialmente locali o di nicchia (radio a diffusione poco più che cittadina, web radio), o sono espressioni di un mainstream che poco ha a che vedere con l’autenticità del Rock e che, nonostante tutto, ci dobbiamo far piacere per assenza di alternative.

Rock Tv in qualche modo per più di 15 anni è stata una eccezione, riuscendo ad unire la diffusione nazionale con una produzione autentica. Una TV essenzialmente fatta da appassionati e musicisti per appassionati e musicisti: Mario Riso, Pino Scotto, Alteria e tanti altri; programmi come Database, Crazy o Sala Prove, in cui gruppi italiani giovani hanno avuto la possibilità di farsi sentire e vedere dalle masse… insomma anni di Rock, quello conosciuto e amato, e quello italiano che tanta fatica fa a farsi scoprire ed uscire dall’ombra.

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Questo momento mi ricorda tanto il 31 maggio 2008 e la chiusura di Radio RockFM, la colonna dei miei studi universitari e dei primi anni di lavoro, programmi strepitosi, da Pane Burro e Rock’n Roll, a Crossover, passando per Hard & Eavy, condotti da speacker veramente bravi.

Certamente i protagonisti di RockFM, o almeno alcuni di loro, li possiamo ancora ascoltare in alcune web radio, e certamente speriamo di ritrovare i protagonisti di Rock TV su altre piattaforme. Pino Scotto annuncia prossime dirette su Facebook Live.

Vale comunque la pena chiedersi come mai il panorama italiano non riesca a far emergere e sostenere la scena Rock nazionale, come mai presto o tardi le piattaforme migliori si scontrano con problemi di produzione, di finanziamento, con incomprensioni editoriali, e finiscono per chiudere i battenti.

Per ora non resta che salutare affettuosamente tutto ciò che Rock TV è stata e ringraziare tutti coloro che, con il loro lavoro, negli anni hanno contribuito a farci affezionare a quel canale, nella speranza di rivedere presto le trasmissioni in una piattaforma importante.

Arrivederci Rock TV

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Temple Of The Dog: una bella storia di Grunge

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Questa è una di quelle storie che più le racconti, più piacciono; Di quelle che nella mia generazione è conosciuta a memoria (mi perdonerà quindi chi legge cose note), almeno da quelli che ascoltano buona musica, per gli altri direi che è giunto il momento di conoscerla: questa è la storia dei Temple of the dog, e in qualche modo, è la storia del grunge

Siamo a Seattle all’inizio degli anni 90, quando ancora pensando alla città non venivano in mente dottoresse ninfomani e ospedali sfigatissimi in cui è più facile crepare che in mezzo ad una epidemia di peste medievale. Seattle all’epoca era solamente la patria del grunge, che già da qualche anno fermentava proprio partendo dal North-west, anche se perché divenisse movimento planetario e arrivasse in Italia sarebbe servito ancora qualche anno. All’inizio le band si conoscevano tutte, suonavano negli stessi locali, spesso erano la derivazione di scioglimenti di altri gruppi dai quali nascevano incroci di persone e di sonorità che spaziavano dall’ hard rock al punk rock fino all‘heavy methal…insomma un panorama estremamente fluido, fatto di musicisti spesso amici fra loro (panorama descritto nello sfondo di in un film del 1992:Singles – L’amore è un gioco, ambientato proprio in quella Seattle a a cui hanno partecipato con cameo molti musicisti dell’ambiente grunge) .

Una di queste band erano i Mother Love Bon: nati dallo scioglimento di uno dei gruppi capostipite del Grunge, i Green River, nel 1990 i Mother Love Born erano una delle band di riferimento del panorama alternative locale. Il 19 marzo 1990 però, Andrew Wood, cantante del gruppo, senza troppa fantasia, va detto, muore per overdose.

Roommate e grande amico di Wood era Chris Cornell, cantante dei Soundgarden, una delle poche band locali ad aver già firmato un contratto con una major. Chris inizia a scrivere alcune canzoni in memoria dell’amico, una in particolare, say hello to even, che non vuole però cantare con i suoi Soundgarden. Decide quindi di chiamare Stone Grossard e Jeff Ament, membri degli ormai ex Mother Love Bon per metter su un gruppo appositamente per registrare qui pezzi.

Al gruppo si aggiungono anche Matt Cameron , batterista di Cornell nei Soundgarden e Mike McCready, chitarrista con cui Grossard, dopo la fine dei Mother Love, stava costituendo un nuovo progetto.

Il gruppo sarebbe pronto, ma c’è ancora spazio per un elemento: come detto McCready e Grossard stavano lavorando per metter su una nuova band nella quale coinvolsero anche Jeff Ament. Insieme avevano iniziato a scrivere pezzi e cercare un cantante. Danno quindi una cassetta con alcune demo a Jack Irons, ex batterista dei Red Hot Chili Peppers, che la invia ad un cantante conosciuto tempo prima in California. Questi, sentiti i demo strumentali inizia a scrivere testi e raggiunge Seattle, in tempo per unirsi al progetto di Cornell & Co. Ovviamente quel cantante è Eddie Vedder.

I sei iniziano a registrare e quello che ne esce è un album meraviglioso, trainato da singoli come Say Hello To Heaven, emozionante saluto all’amico scomparso, e Hunger Strike, unico pezzo dell’album in cui Eddie Vedder, duetta alla pari con Chris Cornell dando vita ad uno dei brani più belli in assoluto, uno di quelli che sarebbe stato bello vedere live almeno una volta nella vita, per poter assistere alla magia creata quando gli acuti di Cornell fanno da controcanto ai toni caldi e bassi di Eddie Vedder.

L’album vende, e diventa uno di quelli essenziali per gli amanti del genere, ma questo aspetto diventa secondario rispetto altri effetti sulla storia del Rock: I Temple Of The Dog infatti rimangono un progetto tributo e dopo l’uscita dell’album omonimo si sciolgono. Cornell e Cameron proseguono la loro carriera coi Soundgarden, e scusate se è poco…

Gli altri continuano a suonare insieme con il nome di Pearl Jam; di li a poco faranno uscire il primo album, Ten, uno dei più bei lavori d’esordio mai usciti e decisamente album fondamentale della storia del grunge e del Rock tutto, diventando loro stessi una delle band più influenti di tutti i tempi.

Ripensare a quanti incroci, quanti episodi sono stati necessari per giungere alla storia del rock che conosciamo, a volte tristi come la morte di Wood, spesso puramente casuali, rende ancora più evidente la perfezione del tutto.

Peccato solamente che il reunion tour avvenuto lo scorso anno, non abbia sfiorato i palchi italiani, sarebbe stato un biglietto imperdibile…ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.