I 10 album fondamentali del grunge (per me)

Era il 19 marzo 1990, quando Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone, moriva per overdose.

Questo fatto, di per se tragico, ha costituito un nodo fondamentale per l’evoluzione planetaria del Grunge.

Da quel 1990, il Seattle sound avrebbe costituito una vera e propria rivoluzione musicale per una intera generazione che, per niente affascinata da lacca e lustrini del rock di derivazione anni ottanta, stava cercando qualsoca di più concreto e disillusao in cui rispecchiarsi.

Insomma, il grunge, piaccia o meno, rappresenta uno dei movimenti musicali e culturali di un intero decennio e, con esso, di una intera generazione. La mia.

Ecco perché, per chi l’ha vissuto, ma anche per chi non c’era e vorrebbe approcciarsi al grunge, indico quelli che, per me, sono i 10 album essenziali di questo genere.

Ovviamente l’elenco è del tutto soggettivo e molti, anche più competenti, potrebbero indicare titoli differenti.

Gli album che seguono non hanno un ordine preciso: non sono in ordine di uscita, o di importanza. Diciamo che sono in ordine di ricordo.

Nirvana – Nevermind (1991)

Sul primo titolo direi nessuna sopresa. Nevermind dei nirvana è l’album che, per eccellenza, ha diffuso il grunge nel mondo.

Certamente, il rovescio della medaglie è che probabilmente è anche l’album più inflazionato dell’intero genere musicale.

Rimane però, almeno per me, un capolavoro: un album fondamentale che, ancora oggi, si lascia ascoltare d’un fiato, senza salti.

Impossibile dire qualcosa su nevermind che non sia già stato detto, quindi meglio non aggiungere altro.

Pearl Jam – Ten (1991)

Anche sul secondo poca fantasia. Persi troppo presto i nirvana per la tragica fine di Kurt Cobain, i Pearl jam rappresentano certamente uno se non IL mio gruppo fondamentale.

Per la loro nascita è decisiva la morte di Wood come chiunque abbia anche solo vagamente sentito parlare di grunge sa: Stone Gossard e Jeff Ament, chitarra e basso dei MLB, costituiscono l’ossatura anche dei Pearl Jam che, dopo il progetto Temple Of The Dog, acquista anche la partecipazione fondamentale di Eddie Vedder (ma ci torneremo).

Ten, il loro album di debutto, è propbabilmente uno dei migliori prodotti dalla band e, a mio avviso, uno dei migliori album di debutto in assoluto, ma sono di parte. Non è forse quello che sceglierei come album migliore in senso assoluto dei PJ, visto che VS, Vitalogy e No Code per molti versi hanno anche lati migliori e piu maturi, ma è il primo, quello che me li ha fatti amare e quindi scelgo lui.

la badn per lungo tempo riufiutò il mondo mainstream, basti pensare che Black, uno dei pezzi fondamentali, meglio costruiti e più noti dell’album, non venne mai pubblicato come singolo.

Soundgarden – Badmotorfinger (1991)

Dopo aver ricordato Nirvana e Pearl jam, non avrei potuto mettere altro che i Soundgarden.

Inizialmente forse più di nicchia rispetto al successo planetario delle altre due band, dallo stile più derivante dal lato metal del grunge e per questo anche più oscuro, i Soundgarden potevano contare su una delle voci più belle della scena di Seattlte: Chris Cornell.

Nel 1991 i Soundgarden lavoravano insieme già da sette anni e avevano all’attivo già due album.  Fu con Badmotorfinger però che l’onda grunge travolse anche loro.

Mother Love Bone – Apple (1990)

Apple è il primo e unico album dei MLB visto che Wood è morto prima dell’uscita , lasciandoci con un assaggio di ciò che il gruppo avrebbe potuto essere e (involontariamente) dando il via a molto di quello che è stato il Seattle Sound

Stone Temple Pilots – Core (1992)

Core è l’album di debutto degli STP e decisamente anche quello dal suono più grunge. In quegli anni qualsiasi cosa veniva prodotta a Seattle veniva assorbita dal mercato discografico perennemente assetatao dalla novità e alla ricerca del nuovo Nevermind. Gli STP  non fecero differenza e, pur con qualche critica di chi li vedeva solo come l’ennesimo tentativo di gruppo clone, fecero uscire un album, forse acerbo, ma decisamente bello, con singoli di successo come Creep o Plush. Immancabili in una raccolta grunge.

Alice In Chains – Facelift (1990)

Fra le band grunge, una di quelle dall’influsso più marcatamente metal e, peraltro, una delle prime in assoluto ad essere conosciuta a livello planetario, ancor prima dell’esplosione di Nevermind.

Facelift è, anche nel caso degli AIC, l’album di debutto che la band ha voluto dedicare alla morte di Wood. La scena di Seattle era del resto molto fluida; le band si conoscevano tutte, si trovavano spesso e coltivavano rapporti personali, anche d’amicizia, che hanno fra l’altro portato alla creazione di una influenza artistica comune, in fin dei conti  base stessa del grunge.

Il singolo Mand in the Box fu il primo il cuio video venne inserito in heavy rotation da MTV, garantendo alla band un buon successo e, soprattutto, permettendo al grunge di uscire dall’ambiente meramente underground di Seattle .

 

Screaming Trees – Uncle Anesthesia (1991)

Gli ST si formano ben prima dell’esplosione grunge, sempre nel nord-ovest raprpesentato dallo Stato di Washington. Uncle Anesthesia è però il loro primo album con una major e  riprende molto da vicino le sonorità tipicamente grunge, pur se con qualche influsso derivante dalla scena psyco- west coast anni 60.  Non è il loro lavoro più conosciuto, ma è quello che ascolto piu volentieri.

Temple Of The Dog – Temple Of The Dog (1991)

Con i TOTD entriamo nel mondo dei supergruppi. Eviterò qui di scrivere la storia di questo progetto, di come il tutto sia nato come tributo a Wood, di come si sia poi arrivati ai Pearl jam, semplicemente perchè ne ho gia scritto qui,  resta comunque il fatto che per , a mio modestissimo avviso, stiamo parlando di un capolavoro assoluto.

Basta leggere la formazione per far venire la pelle d’oca:  Chris Cornell (voce); Eddie Vedder (voce in Hunger strike e cori), Stone Gossard (chitarra) Mike McCready, (chitarra), Jeff Ament (basso), Matt Cameron (batteria).

Immancabili come pezzi da citare, Say Hello 2 Heaven, ballads dedicata a Wood e, ovviamente, Hunger Strike, in cui le voci di Cornell e Vedder assieme creano un momento da brividi.

Mad Season – Above (1995)

Anche con i MS siamo nel mondo dei supergruppi. Above, purtroppo unico loro album, ci regala pezzi stupendi, musicalmente e sotto il punto di vista vocale.

Anche in questo caso per una lettura ulteriose su Above, rimando all’articolo che ho scritto qualche tempo fa sul gruppo.

Semplicemente immancabile.

Singles Original Sounsdtrack (1992)

Ero obiettivamente un po indeciso se mettere o meno “Singles”, la colonna sonora dell’omonimo film in questa lista: in fondo non è ne un album di un gruppo, ne un progetto con pezzi originali. A maggior ragione perchè di album da inserire in una lista di grunge ce ne sarebbero ancora tantissimi: basti pensare, per esempio, ad altri lavori dei Pearl Jam (come Vs.) o dei Soundgarden. Oppure Gish, album di debutto degli Smashing Pumpkins.

Alla fine però ho pensato che la colonna sonora di quello che ad oggi rimane l’unico film ritrovatosi suo malgrado a divenire “manifesto grunge”, non potesse non essere inserito. Anche in questo caso ho gia scritto un articolo sul film e sulla colonna sonora a cui rimando chi dovesse essere interessato; per il resto, album tutto da asscoltare.

 

 

 

 

 

 

 

La volta che Janis Joplin diede il due di picche a Jim Morrison

Secondo quanto riportato nella biografia di Jim Morrison “Break On Through: The Life and Death of Jim Morrison”, ci sarebbe stato un “incontro” tra due mostri sacri del rock.

“L’incontro tra Jim e Janis Joplin è diventato leggendario. Paul Rotchild in quel periodo decise che Morrison e la Joplin dovessero conoscersi, e dal momento che lavorava con entrambi fece il possibile per farli incontrare. Successivamente descrisse l’episodio a Blair Jackson di Bam Magazine: ‘Ho pensato, sono il Re e la Regina del rock ‘n’ roll. Devono incontrarsi. Per cui ho dato loro appuntamento ad un party a Hidden Hills. Si sono presentati entrambi sobri, e hanno cominciato subito ad andare d’accordo. Jim era affascinato da questa strepitosa ragazza, e ovviamente anche Janis era rimasta colpita dall’innegabile fascino di Morrison.

In quel periodo Jim era ubriaco per la maggior parte del giorno, e così avvenne anche a quella festa. Cominciò a bere e il suo atteggiamento divenne rude, maleducato, quasi violento. Improvvisamente cominciò a comportarsi come un cretino, un “disgustoso” ubriaco. E Janis, che era una “affascinante” ubriaca, si stancò ben presto di lui. Beh, più Janis lo rifiutava, più Jim ci provava. Alla fine Janis si avvicinò, mi disse: andiamocene.. e andò verso l’auto.

Ma Jim non era intenzionato ad accettare un no come risposta, così quando Janis salì in macchina lui la afferrò per i capelli. Beh, Janis prese dal sedile di fianco una bottiglia di Southern Comfort, uscì furibonda dall’auto e gliela ruppe in testa. Poi gli urlò «Vaffanculo Jim Morrison, sai cosa ti dico? La musica dei Doors m’ha sempre fatto cagare!».

Il giorno dopo, incontrai Jim e mi disse: – Che donna straordinaria! Posso avere il suo numero di telefono?- Ho dovuto rispondergli che Janis non pensava che fosse una buona idea. Povero ragazzo, si era preso una bella cotta!”

Che gran coppia sarebbe stata…!almeno musicalmente…

Non rompetemi più le scatole con i Maneskin

Dai ascoltati i Maneskin, fanno ottimo Rock”…”possibile che tu non voglia ascoltare i maneskin? guarda che sono bravi ….poi con Marlena hanno tirato fuori un tormentone!”

Ultimamente il tono delle mie conversazioni sull’argomento Maneskin era piu o meno sempre questo, con l’unico vantaggio che ho finalmente scoperto il senso degli infiniti post che facevano riferimento a questa misteriosa Marlena…ed io che pensavo che fosse una mela (sic!).

Ok, alla fine mi sono fatto convincere ed ho ascoltato sti Maneskin, bene. Adeso però non rompetemi più le scatole: il mio dovere, quel minimo sindacale per non passare per uno che critica a oprescindere l’ho fatto. E non mi sono piaciuti.

Intanto, sono rock? Per me no. Certo, l’impronta se la sono voluta dare, ma per fare rock ed essere rock, non basta certo una sequenza di accordi, qualche distorsione e una finta aria da gruppo alternativ costruita a tavolino.

Per me (e ribadisco, è ma mia opinione personale) dire che i maneskin sono rock per un paio di riff in stile funk e per un cantante un po androgeno che ci butta su un po di voce graffiata, è un po come paragonare i tizzi di “Svalvolati on the road” con gli Hells Angels perchè si sono messi un giubbotto di pelle e sono saliti su una harley.

Ok, chiaramente in un paese in cui il mercato discografico ci ha abituati a premiare roba alla Tiziano Ferro, capisco che anche i Maneskin possano non sembrare poi così male. Francamente però, pur avendo provato ad ascoltarli non mi disocno nulla.

Le canzoni sono molto prevedibili: fanno un bel mix di un po di funk nei riff, linee di basso molto semplici e testi presi dalla fiera del banle. Tecnicamente magari non sono neanche male, almeno alcuni di loro, ma è tutto qui.

Certamente si sanno vendere bene e non voglio nemmeno dargli la colpa di essere usciti fuori da X Factor.

Del resto, se proprio vogliamo guardare ad X Factor, nella stessa edizione c’erano anche i Ros, un gruppo tecnicamente molto piu bravo e decisamente molto più rock che, meritaterebbe fortuna migliore.

Intendiamoci, i Maneskin stanno andando bene i Italia e ce ne faremo una ragione, tutti contenti per loro. Spiace solamente che girando per locali più o meno grandi si possano ascoltare dozzine di gruppi veramente bravi, veramente rock, che fanno fatica ad emergere, mentre questi passano per “il gruppo rock italiano”.

Ascoltatevi pure i Maneskin, quindi, ma non mi ropete più le scatole dicendomi che sono prevenuto e non li capisco, a me francamente se Marlene torna oppure no a casa non interessa niente.

PS

la cosa piu bella che ho ascoltato cercando i Maneskin è questo video su “come creare una canzone dei Maneskin” senza alcun talento…buona visione 😉

 

GRETA VAN FLEET: AMARLI OD ODIARLI?

Il 2018 appena concluso, dal punti di vista musicale (o almeno da quello della musica rock) ha consegnato una novità assoluta che, fin da subito, ha suscitato l’interesse del pubblico e, in parallelo, un enorme divisione fra amanti e detrattori: i Greta Van Fleet.

Il mio primo contatto con i quattro del Michigan si è svolto più o meno così: traffico di Roma, radio Rock in macchina, sento una canzone e un po’ perplesso mi chiedo come sia possibile che ci siano canzoni dei Led Zeppelin che ancora non conosca. Lo speacker disannuncia il brano e l’arcano viene scoperto: semplicemtne te non sono i Led ma i GVF.Perché sì, va detto subito e chiaramente, una delle peculiarità di questo giovane gruppo, sua forza da un lato e debolezza dall’altro, è proprio una estrema somiglianza con il gruppo padre dell’Hard rock mondiale.

Non si parla solo di somiglianza nella timbrica di Joshua Kiszka, frontman del gruppo, ma più in generale nello stile dei riff, nella struttura di certi assoli, negli arrangiamenti, nel sound che da un chiaro effetto revival anni settanta.

Del resto se capita di ascoltare una band che riesce bene o male a farsi accostare a mostri sacri come i Led Zeppelin, come minimo è necessario soddisfare l’inevitabile curiosità di ascoltarli di più e capire fino a che punto la cosa sia un “gioco voluto” e quanto sia invece una “necessità tecnica e compositiva”.

La cosa non è ovviamente sfuggita ad addetti ai lavori così come al grande pubblico, creando fin da subito in entrambi una netta divisione fra sostenitori e detrattori del gruppo americano.Questi ultimi soprattutto, pur dovendo riconoscere la bravura tecnica dei quattro ragazzi poco più che ventenni, ritiene l’aspetto imitativo prevalente, forzoso e, in definitiva, prevalente rispetto alle indiscusse doti della band. 

La discussione non ha esentato nemmeno molti big del rock: secondo Alice Cooper ad esempio “Il rock è quel genere di musica che è destinato a non morire mai – ha detto – ci sono tante nuove band adesso, pensate ai Greta Van Fleet. È un gruppo che ha riflettuto sul fatto che i Led Zeppelin hanno dominato la scena musicale a lungo e che si è quindi detto ‘Facciamo i Led Zeppelin’. La gente è pronta per i nuovi Led Zeppelin, ecco quindi che il rock torna di nuovo a essere in prima linea”.

Fra gli estimatori va certamente annoverato anche Elton John che, dichiaratamente colpito dalle doti del gruppo, ha deciso di invitarli a esibirsi con lui al Saturday Night’s Alright for Fighting durante l’Academy Award PartyAnche lo stesso Robert Plant, in una intervista molto cliccata in rete ha scherzato sull’accostamento della band statunitense con Led, lasciando intendere un certo apprezzamento: “C’è una band chiamata Greta Van Fleet, sono i Led Zeppelin I – ha detto – hanno questo meraviglioso giovane cantante, molto forte.. lo odio! Ha preso in prestito la voce da qualcuno che conosco molto bene, ma che cosa ha intenzione di fare? Almeno ha un po’ di stile, perché ha detto che ha basato tutto il suo stile sugli Aerosmith”.

Al di là delle opinioni espresse da cantanti di gran successo, vale comunque la pena fare alcune considerazioni derivanti dall’ascolto dei GVF.Sono senza dubbio un gruppo formato da giovanissimi, tuttavia a questo non corrisponde una produzione acerba e prevalentemente spontanea.

Il merito di ciò (se di merito trattasi), va probabilmente attribuito al lavoro che sulla band ha svolto Al Sutton, produttore d’esperienza con all’attivo numerose collaborazioni importanti e che, intuite le potenzialità di Kiszka & Co., ha fatto lavorare il gruppo in studio per più di due anni al fine di ottenere un EP pronto per una major;Sono bravi, molto. Si può stare a dire quanto si vuole che si ispirano (per chi gli vuole bene) o scimmiottano (per gli altri) i Led Zeppelin, come se peraltro farlo rimanendo credibili fosse una cosa facile o banale.

La realtà è che, pur volendo aderire alla tesi dei “copiatori”, suonare come i Led, cantare come i Led, creare quel sound bisogna saperci decisamente fare.

Sono al primo lavoro in studio ed è ancora presto per capire come evolverà il loro suono o il loro modo di comporre ma è fin troppo noto quanto sia stretto lo spazio in cui un gruppo debba muoversi per replicare un successo precedente, sempre col rischio di essere giudicati ripetitivi da un lato e con quello di discostarsi troppo dal sound che lo contraddistingua dall’altro.

Di certo ad oggi hanno dimostrato di sapersi districare in una forma autentica di rock che, oltre ai citati Led Zeppelin, richiama da vicino altri grandi del genere come Who e Aerosmith, fatto di riff graffianti ma anche di ballad di cui, in tutta onestà, non esistono ad oggi numerosissimi esempi fra le band emergenti.Assomigliano ai Led Zeppelin? Per adesso indubbiamente sì.

Dubito comunque che, se qualcuno avesse chiesto in anticipo se sarebbe stata una bella sorpresa o meno scoprire una nuova band che ricordi così da vicino Plant e compagni, in molti avrebbero risposto con uno sdegnato diniego.Tutto ciò a maggior ragione se confrontiamo i Greta Van Fleet con ciò che offre il panorama nostrano, in cui spesso e volentieri le major raccattano gruppi dai reality (cosa che di per se non sarebbe neanche un problema se poi alla base ci fosse la qualità), e dove band come i Maneskin vengono dipinti come “geniali ed innovativi”.

A questo punto, a mio modestissimo avviso, Greta Van Fleet tutta la vita, nella speranza che questo sia solo l’inizio e che il successo non li faccia smarrire come troppo spesso accade quando arriva repentinamente.

CON UNA SERATA MAGICA I PEARL JAM CHIUDONO A ROMA LE TAPPE ITALIANE DEL TOUR 2018

DI ALBERTO EVANGELISTI

Con quello di ieri sera allo Stadio Olimpico, dopo i concerti di Milano e Padova, si chiudono le tre tappe italiane del tour 2018 dei Pearl Jam.
Inutile dire che l’attesa era molta, per più di un motivo: Eddie e compagni infatti non suonavano in Italia da 4 anni, e a Roma da ben 22, in quello che rimase uno dei concerti più iconici del Grunge anni 90, definito dallo stesso frontman dei Pearl Jam ieri sera durante lo show, come uno dei più importanti della sua carriera.
C’era poi una grande attesa di vedere la prestazione del gruppo dopo l’annullamento della data londinese a causa della perdita di voce di Eddie Vedder e le condizioni ancora precarie di Milano.
Quando si parla dei Pearl Jam però, c’è sempre qualcosa di più: una sorta di catarsi collettiva di un popolo che, insieme, fan dei primi anni novanta e nuovi, ciascuno a proprio modo e con le proprie aspettative, partecipa agli eventi con trasporto e ritualità, trasformando di volta in volta lo stadio o il palazzetto di turno in un tempio.
Molte facce sono familiari, fan che si rivedono, concerto dopo concerto, o che si tengono in contatto tramite l’uso di social come il gruppo Facebook “Pearl Jam Italia”, piazza virtuale di confronto e, talvolta, di sano scontro sul mondo targato Pearl Jam.
Per tutti loro la giornata inizia molto presto, con l’apertura dei cancelli alle quattro passate dopo che, in molti casi, erano in fila già da ore, per una attesa impaziente che si protrarrà, in una giornata di intenso caldo estivo, fino alle 21.20 quando, finalmente, il concerto inizia.
C’è sempre un’aria particolare ad un concerto dei Pearl Jam. Probabilmente dipende anche dal fatto che, negli anni, Mother Love Bone, Nirvana, Stone Temple Pilot e da ultimo i Soundgarden con la morte di Chris Cornell avvenuta poco più di un anno fa, praticamente tutti i principali attori del Seattle Sound sono stati colpiti dalla stessa sorte maledetta, così che i Pearl Jam sono, di fatto, gli ultimi superstiti di un mondo, quello del Grunge, che ha rappresentato (e rappresenta) per una generazione la risposta ad un profondo disagio, probabilmente mai realmente elaborato, e che ha pagato a caro prezzo questo ruolo.

Inizia il concerto e Eddie c’è, e si vede subito. Si parte con il classico Realese con cui si appassiona immediatamente il pubblico che, nel crescendo della canzone, canta il pezzo a squarcia gola.
Da quel momento inizia un susseguirsi di tre ore piene di concerto, con una alternanza ottimamente dosata di momenti riflessivi, quasi intimistici, ad altri decisamente energici ed aggressivi Il tutto sapientemente costruito con una scaletta ben equilibrata, formata da pezzi vecchi adorati dal pubblico, spesso tratti da “Ten” (ma personalmente non posso citare State of Love and Trust ), a pezzi più nuovi come Lightning Bolt o l’ultimo singolo Can’t Deny Me e cover, fra le quali sono spiccate Imagine (J Lennon), Comfortably Numb (Pink Floyd) e la classica chiusura con Rockin’ in a free world (N. Young).
Il pubblico ha tutto ciò che cerca, dalle immancabli Black e Alive nei bis, Jeremy, Given to Fly e Even Flow, che hanno letteralmente fatto esplodere lo stadio.

La voce di Eddie tiene bene e lui conferma di essere realmente unico nell’ammaliare il suo pubblico, nello spingerlo a cantare, saltare, urlare per tutte le tre ore di concerto.
Ma c’è di più. Certo il ruolo fondamentale di Eddie nelle dinamiche è fuori discussione, ma i Pearl Jam, nel loro complesso, sono ormai un gruppo maturo, che ha trovato decisamente equilibrio e consapevolezza delle proprie capacità, anche tecniche; che vive bene il proprio ruolo. E questa forse è un’altra delle attese che in molti avevano da questo tour: lo scorso anno Eddie Vedder si era presentato a Firenze da solista, incantando letteralmente i 60.000 del Firenzerock, riuscendo a trasformare un evento da festival in qualcosa di intimo e speciale. Ma chi ha assistito ad entrambi gli eventi non dovrebbe avere dubbi: I Pearl Jam sono altro, sono di più, danno allo stesso Eddie Vedder un valore aggiunto, una sinergia unica che sarebbe impossibile da ottenere senza la parte ritmica di Matt Cameron e Jeff Ament, senza la bravura di Mike McCready (a mio avviso stupendo nella cover di Comfortably Numb) e di Stone Gossard.
La musica dei Pearl Jam, così come la band, vuole anche dare messaggi che vadano al di la del mero spettacolo. I Pearl Jam del resto non si sono mai fatti problemi ad esporsi e prendere posizione su questioni sociali e politiche. Il concerto di Roma non ha fatto eccezione: prima con un messaggio lanciato introducendo Imagine:”nel nostro paese stanno accadendo cose che lo rendono diverso da come lo abbiamo lasciato qualche settimana fa”- con un chiaro riferimento alla questione dei c.d. bambini in gabbia e a Trump – “non smettiamo di lottare per la pace, dipende da tutti noi”. Poco dopo Eddie ha mostrato e indossato a mò di mantello, una bandiera datagli dal pubblico con su la scritta “Fuck Trump, love life”, in fine facendo comparire sui maxi schermi l’astag #apriteiporti.
Alla fine della serata il rito è compiuto; Ciascuno, pubblico e band, se ne va avendo ottenuto ciò che voleva e, cosa più importante, ciò di cui avevano bisogno, stremato ma rasserenato, con la speranza lasciata dal saluto finale della band all’ Olimpico :”forse ci rivedremo l’anno prossimo”.

La scaletta della serata
Release
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Interstellar Overdrive
Corduroy
Why Go
Do the Evolution
Pilate
Given to Fly
Even Flow
Wasted Reprise
Wishlist
Lightning Bolt
Again Today
Untitled
MFC
Immortality
Unthought Known
Eruption
Can’t Deny Me
Mankind
Animal
Lukin
Porch
Encore:
Sleeping by Myself
Just Breathe
Imagine
Daughter
Encore:
State of Love and Trust
Black Diamond
Jeremy
Better Man
Encore:
Comfortably Numb
Black
Rearviewmirror
Alive
Rockin’ in the Free World

La notte magica dei Foo Fighters a Firenze

Difficile trovare le parole per descrivere la notte magica dei Foo Fighters al Firenzerock, le emozioni che io e gli altri 65.000 presenti abbiamo provato, ma una cosa è chiara: i Foo Fighters sono attualmente una delle band di riferimento nel panorama mondiale del rock, e la cosa è arcimeritata.

La questione non è (o non è solo) legata alla qualità delle loro performace live, e nemmeno alla scaletta. C’è di più: I Foo Fighters sono una band matura, che ha raggiunto nei tanti anni di carriera un equilibrio incredibile, che si diverte a suonare assime e che fa trasparire tutto questo in ogni concerto, che sia di fronte a poche migliaglia di persone in un palazzetto, o ai 65.000 fan di Firenze rendendo il tutto sempre estremamente informale e intimo.

Nelle loro serate non c’è l’ombra di conflitti interiori, non c’è unione posticcia di grandi performer che a malapena si sopportano; c’è soltanto voglia di fare rock e di coinvolgere chi è li per seguirli, di far urlare e cantare il pubblico. Sarà per questo che, nonolstate i mille limiti dei festival estivi in Italia, nonostante i Token, nessuno lascia il concerto meno che entusiatsta.

Dave e compagni iniziano a suonare che sono da poco passate le nove. Icebreaker con Runa,singolo di Concrete and Gold, per poi sparare subito tre classiconi e far esplodere il pubblico. 

Nel complesso una scaletta bel bilanciata, per lo più solidamente appoggiata su pezzi familiari, con l’inserimento puntuale di alcui singoli dall’ultimo album; diversi intervalli strumentali, qualche cover ( come non citare il  mash-up Jump/Imagine o Under Pressure  con Taylor alla voce e Dave alla batteria, oltre che come seconda voce alla Bowie ). Il tutto con un Dave in gran forma che urla fin dal primo pezzo ma caopace comunque di misurarsi per arrivare bene fino a fine concerto; che spesso interagisce direttamente col pubblico chiamando in causa i “nuovi fan” che “devono guardare i vecchi ed imparare da loro”.

A Visarno il pubblico avrà quello che vuole: due ore e mezza di concerto in cui sentiranno tutti i classici che volevano urlare, da Learn to Fly fino ai 3 bis (Times Like These, This Is a Call e Everlong), ed in cui Dave e i FF creeranno quell’empatia che ti fa realmente assaporare le emozioni di un concerto.

 

La serata regala anche una perla inattesa che ha letteralmente fatto esplodere il pubblico: Axl Rose, Slash e Duff McKagan che salgono sul palco per una versione pazzesca di It’s So Easy suonata insieme ai FF. Ok, lo ammetto, in quel momento credo di aver urlato di tutto e perso definitivamente quel po di voce che mi rimaneva.

Perché alla fine andare ad un concerto è questo: essere coinvolti, saltare, urlare, cantare i pezzi (e i 65.000 non hanno certo deluso), passare una serata convinti che si stia assistendo a qualcosa di bello, ancora piu uniti agli amici che erano con te e con cui ricorderai quei momenti, e magari anche allo sconosciuto che ti stava accanto con cui hai cantato tutta la sera.

Se questo è il senso del Rock, ed è certamente una delle migliori versioni che se ne può dare, oggi pochi riescono a farlo venir fuori meglio dei Foo Fighters dei quali abbiamo e avremo bisogno a lungo.

La Scaletta :

Run
All My Life
Learn to Fly
The Pretender
The Sky Is a Neighborhood
Rope
Drum Solo
Sunday Rain
My Hero
These Days
Walk

Cover: Imagine / Jump / Blitzkrieg Bop
Under Pressure (Queen cover cantata da Taylor Hawkins)
It’s So Easy (Guns N’ Roses, con Axl Rose, Slash e Duff McKagan)
Monkey Wrench
Wheels
Breakout
Dirty Water
Best of You
Times Like These
This Is a Call
Everlong

Foo Fighters “Concrete and gold”: The new work of Dave & Co.

The premise is a must: from my point of view, you can not don’t love Grohl & Co. If we think of a band that best represents the “good side” of rock, no one is more familiar with the Foo Fighters and countless anecdotes that surround them: from the concert ended with the legged leg after Dave had just fractured it, to the video response sent to Rockin’1000 guys to say they would, would have played in Cesena (!), so much from ” deserve “the creation of a Facebook group as” Foo Fighters do good things “. In short, if you do not love them you have something perky inside.

All this to say that if you expect stylistic criticisms of the new poet’s work also stop reading.

Okay, someone can say that the new album does not say much again, which is a constant repeat of cliché already consolidated; for some, there may be a tendency to “push” excessively in some songs, so as to give a non-genuine roughness; for others, the exact opposite of the critics might prevail, motivated by the desire to hear a badger album and less lean on rhythmic ballads.

Forget about all these unhealthy ideas: in the bottom, if you like Foo you know them and you know what to expect.

Concrete and gold is exactly what you can and should expect from them: a mix of catchy songs, each with their own “hard” moment, just to remember that although there is really nothing more to prove, the guys love it to push and know how to do it.

If with Sonic Highways you are faced with a more sophisticated work, a concept album that tells the story of a journey through music made in the USA, the latest FF work is more straightforward and immediate: a succession of pieces with which the fan is immediately in full confidence, without having the discomfort of the already felt: grunge-lenses, power chords, acoustic ballads and many good Dave screams that they do not spare at all.

The album opens with T-Shirt, a short introduction that immediately gives a clear idea of what to expect in the next few minutes of listening: soft and light start, Dave and acoustic guitar, choral opening and empathy and riffs that are well in mind group lovers.

Run, the first single released by the new and the ninth job is another great synthesis of these features: a pleasantly harmonious intro that almost immediately comes out in riffs that are growing and rough and quite a bit of Dave’s mouth that in some respects seems to be the frontman of one band metalcore.

Even in La Dee From the FF they had a chance to put in a bit of healthy badness, aiming at simple, but riffy and powerful riffs by playing some bad guys.

The next song, Dirty Water, instead has an initial approach completely opposed to the first part of the piece featuring almost an excess of “sweetness”, enhanced by light feminine choruses that point almost to a cool blue lagoon, and then turn into a riff pushed and in steady acceleration and tone up.

Happy Ever After is the acoustic, light and harmonic ballad, with a “sorbet” effect, to take a moment of relaxation before proceeding with the end of the album.

Concrete and Gold, evidently from the name of the album, concludes the album with a slow, somewhat melancholy piece. The gloomy intro opens up on a choral side, but never explodes and leaves the listener with a pinch of honey.

Why listen to him? because they are the Foo Fighters, all in all: with their sounds, their lyrics at times reflexive, ironically and desiccating, with the obvious desire to play and the fun to do so.

Why not listen to it? I do not know…

ps

I bought it on Amazon so that the MP3 format is available immediately before delivery. because traveling a lot can be useful

Foo Fighters Concrete and Gold: ascolto del nono lavoro di Dave & C.

La premessa è d’obbligo: dal mio punto di vista non si può non amare Grohl & Co. Al momento se pensiamo ad una band che rappresenti al meglio il “lato buono” del rock, nessuno è più indicato dei Foo Fighters e gli innumerevoli aneddoti che li circondano: dal concerto terminato con la gamba ingessata dopo che Dave se l’era appena fratturata, alla risposta video mandata ai ragazzi del Rockin’1000 per dire che si, sarebbero venuti a suonare a Cesena (!),  tanto da “meritarsi” la creazione di un gruppo Facebook come “i Foo Fighters fanno cose buone”. Insomma, se non li ami hai qualcosa di perfido inside. 

Tutto ciò per dire che se vi aspetate critiche stilisttiche al nuovo lavoro poete anche smettere la lettura.

Ok, qualcuno può dire che il nuovo album in fondo non dice molto di nuovo, che è una costante ripetizione di cliché gia consolidati; per alcuni ci potrà esssere una tendenza a “spingere” eccessivamente in alcuni brani, così da dare una ruvidità non genuina; per altri potrebbe prevalere la critica esattamente opposta, motivata dal desiderio di sentire un album piu cattivello e meno appoggiato su ritmiche da ballad.

Dimenticatevi di tutte queste malsane idee: in fondo se vi piacciono i Foo li conoscete e sapete cosa aspettarvi.

Concrete and gold è esattamente ciò che ci si può e ci si deve aspettare da loro: un mix di brani orecchiabili, ciascuno con il proprio momento “hard”, giusto a ricordare che, pur non avendo realmente nulla più da dimostrare, i ragazzi amano spingere e lo sanno fare.

Se con Sonic Highways ci si trova di fronte ad un lavoro più ricercato, ad un concept album che racconta la storia di un viaggio attraverso la musica made in U.S.A, l’ultimo lavoro dei FF è più lineare ed immediato: un susseguirsi di pezzi con cui il fan si trova fin da subito in piena confidenza, senza però avere il fastidio del già sentito: lentoni dal forte sapore grunge, power chords, ballad acustica e molte urla del buon Dave che non si risparmia affatto.

L’album si apre con T-Shirt, breve intro che da subito una idea ben chiara di cosa aspettarsi nei successivi minuti di ascolto: partenza soffice e leggera, Dave e chitarra acustica, apertura corale ed empatica e riff che sono ben in mente agli amanti del gruppo.

Run, primo singolo uscito dal nuovo e nono lavoro, è un’altra ottima sintesi di queste caratteristiche: intro piacevolmente armonico che sfocia quasi subito in riff crescenti e ruvidi e un bel po di ugola di Dave che in alcuni tratti sembra il frontman di unauna band metalcore.

Anche in La Dee Da  i FF si siano divertiti ad inserire un po di sana cattiveria, puntando su riff semplici ma ruvidi e potenti giocando a fare un pò i cattivi.

Il brano successivo, Dirty Water, ha invece un approccio iniziale completamente opposto con la prima parte del pezzo caratterizzto quasi da un eccesso di “dolcezza”, acutizzata da cori femminili  leggeri che rimandano quasi ad una fresca laguna blu, per poi sfociare in un riff spinto ed in una costante accelerazione e salita di tono.

Happy Ever After è la ballad acustica, leggera e armonica, ad effetto “sorbetto”, per prendersi un momento di relax prima di proseguire con la fine dell’album.

Concrete and Gold, traccia che evidentemente da il nome all’album, conclude l’album con un pezzo lento, un po malinconico. L’intro un po cupo apre su una parte corale, senza però mai esplodere e lasciando l’ascoltatore con un pizzico di magone.

Perché ascoltarlo? perchè sono i Foo Fighters, in tutto: con le loro sonorità, i loro testi a tratti riflessivi a tratti ironici e dissacranti, con l’evidente voglia di suonare ed il divertimento nel farlo.

Perché non ascoltarlo? non saprei…

ps

io l’ho acquistato su Amazon così da avere il formato MP3 immediatamente a disposizione ancor prima della consegna. per chi viaggia molto può essere utile

 

 

Anche Chester ci ha lasciati

Altra tragedia nel mondo della musica rock; Chester Bennington, cantante dei Linkin Park si è tolto la vita.

Sei qui, di fronte al PC, e pensi se sia il caso di scrivere qualche riga il giorno in cui Chris Cornell avrebbe compiuto gli anni, valutando che forse è meglio evitare e lasciare che il lutto si riassorba da se, quando arriva l’ennesima mazzata alla quale non vuoi credere.

Questo annus horribilis (in realtà anni) della musica non accenna a finire sacrificando l’ennesima vittima sul proprio altare, un’altra vittima del cane nero della depressione.

Le circostanze della morte per quanto si sa, se possibile, sono ancora peggiori della notizia in se: Chester, caro amico di Chris, per il quale aveva cantato una commovente vesrione di Aleluia il giorno del funerale, il giorno in cui Chris avrebbe compiuto gli anni, si è tolto la vita impiccandosi come l’amico.

Incredulo, il pensiero va all’estate del 2001,  Hybrid Theory era già uscita da qualche mese e, in giro per il mondo, discutevo con gli amici di questo nuovo gruppo, di quanto il il loro crossover fosse una novità significativa e piacevole; insomma quelle note finirono per essere la colonna sonora indimenticabile di una estate particolarissima.

Oggi, con questa notizia, un ulteriore pezzo dei miei, dei nostri ricordi, transita in un passato che, purtroppo, è sempre piu remoto, facendo apparire il tutto lontano e mai più afferrabile. L’ennesimo capitolo chiuso di una vita.

Passerà anche questa, supereremo l’ennesima brutta notizia, un po più tristi, ma sempre convinti che la musica, le sensazioni che ci ha dato e ci darà sempre, i ricordi che automaticamente accende nelle nostre menti, siano la sola via per la catarsi.

Ciao  Chester, what have you done…

“So let mercy come and wash away
What I’ve done”

 

 

Artù, che meraviglia…

Fa caldo, sei in macchina ancora, sempre sul GRA, e di cose per cui gioire in quel momento ne trovi veramente poche. Poi alla radio senti una intervista ad un cantautore (a te) sconosciuto, senti un paio di pezzi…e ti vergogni.

Ti vergogni perchè non è possibile che tu non abbia mai sentiro prima queste canzoni. Ecco quello che mi è successo pochi giorni fa ascoltando l’intervista che stava andando in onda su Radio Rock  ad Artù, cantautore romano.

A questo punto, giuro, spero di ricevere una marea di insulti di gente che mi scriva..guarda che solo tu non lo conoscevi!, servirebbe ad ad aumentare la mia fiducia sulla diffusione della buona musica in Italia.

Artù canta la vita, diretta come un pugno, con la stessa sagacia, la stessa ironia e, per dono divino, quasi la stessa voce di uno dei miei cantautori italiani preferiti, il mai troppo rimpianto Rino Gaetano.

I testi sono poesie in cui, con semplicità spiazzante, Artù infila riflessioni profonde, piazzandolete di fronte come fossero banalità.

Tutto Passa” , singolo omonimo del secondo album, è un concentrato di vita messo in forma di poesia nei cui versi, in uno o anche in tutti, è impossibile non immedesimarsi, traslando l’emozione dei propri giorni trascorsi in una infinita rielaborazione dell’ IO.  E’ ascoltando questa canzone, con la voce graffiante di Artù che usciva dalla radio della mia macchina che ho “rivisto”, dopo tanto, Rino Gaetano.

 

“Giulia domani si sposa” è uno stupendo racconto autobiografico,tanto delicato quanto estremamente sarcastico, e anche qui, poco da dire..la ascolterei on loop all’infinito.

Francamente credo che cantautori come Artù siano la risposta a chi sostiene che la musica italiana non abbia nulla di nuovo da dare nel Rock; è cantautorale certo, ma è Rock in tutto, in ciò che dice, in come lo dice, proprio come Rino. Se fra tutto l’ottimo rock straniero che ascoltare vi rimane un po di spazio negli I Pod, ve lo consiglio. Io il mio errore l’ho già ammesso e visto che errare è umano ma perseverare diabolico, ho gia rimediato.

Artù su Facebook:

https://www.facebook.com/ArtuAlessioDari